L’intelligenza artificiale applicata in organizzazioni poco strutturate: l’illusione dell’efficienza

Una riflessione che mi accompagna spesso in questo periodo — e che viene sollecitata anche dalle organizzazioni che seguo come consulente — riguarda l’utilizzo dell’intelligenza artificiale in combinazione con il metodo Kanban.

Qualche giorno fa, durante una presentazione introduttiva sul metodo Kanban a un gruppo di potenziali interessati, mi sono trovato di fronte a una persona che, con grande entusiasmo, raccontava di aver ottenuto risultati straordinari di efficientamento nella propria organizzazione grazie all’uso dell’AI.

Questo episodio mi ha riportato alla mente un’interessante analisi contenuta in un recente articolo di Klaus Leopold, che potete leggere qui. Leopold si concentra sul suo modello dei Flight Levels, ma osservazioni analoghe possono essere fatte anche alla luce del Kanban Maturity Model (KMM).

Sta emergendo infatti un paradosso notevole: l’intelligenza artificiale (AI) rende le persone sempre più efficienti nei propri compiti, ma allo stesso tempo sembra spingere le organizzazioni indietro, fino a ML0 (Inconsapevole – Oblivious).

La regressione a ML0: l’ottimizzazione individuale

Storicamente, le organizzazioni di servizi professionali erano fortemente orientate alla performance individuale. Con lo sviluppo del pensiero organizzativo si è compiuto un passo avanti significativo, spostando progressivamente l’attenzione dall’individuo al team e, successivamente, al sistema nel suo insieme.

Oggi, tuttavia, l’uso prevalente dell’intelligenza artificiale sembra riportarci a un livello di focalizzazione più elementare: l’ottimizzazione delle prestazioni individuali, attraverso strumenti come assistenti di scrittura o applicazioni per la generazione e il riassunto di testi.

Questo tipo di applicazione dell’AI si allinea perfettamente alle caratteristiche di organizzazioni a ML0. A questo livello:

  1. Focus su sé stessi e raggiungimento dei risultati: l’organizzazione si presenta come un insieme di individui poco coesi, ciascuno concentrato sui propri obiettivi. Il valore culturale dominante è l’Achievement, ovvero il raggiungimento dei risultati personali. L’intelligenza artificiale finisce per rafforzare questo orientamento, offrendo a ciascuno la possibilità di autocelebrarsi quotidianamente con pensieri del tipo: “Guarda quanto sono produttivo”.
  2. Pratiche individualistiche: le pratiche organizzative si focalizzano principalmente sul completamento dei singoli compiti (“getting things done”). Quando presente, l’uso delle Kanban board avviene a livello individuale (VZ 0.1). L’intelligenza artificiale non modifica sostanzialmente questo approccio: si limita a rendere più rapidi i processi — scrivere più velocemente, codificare più velocemente, fare tutto più velocemente — aumentando così l’efficienza dell’individuo, ma non quella del sistema.
  3. Qualità dipendente dall’eroe di turno: la qualità e la coerenza del lavoro dipendono interamente dalle competenze, dall’esperienza e dal giudizio dei singoli. Ne risulta un’organizzazione estremamente fragile, in cui ogni cambiamento di personale può compromettere significativamente la stabilità operativa.

L’illusione di produttività: sub-ottimizzazione complessiva

La promessa di ridurre il lavoro “da due ore a 20 minuti” o ottenere un “risparmio di tempo del 75% nelle presentazioni” crea una potente illusione di produttività. In realtà, questo progresso è solo apparente.

Quando l’intelligenza artificiale viene impiegata per velocizzare singole attività in modo isolato, senza un coordinamento sistemico, si producono effetti paradossali:

  • L’AI produce riassunti perfetti delle riunioni, ma nessuno legge il riassunto.
  • L’AI crea automaticamente la richiesta di ferie, ma l’approvazione resta bloccata per tre settimane sulla scrivania del capo.
  • L’AI crea 25 versioni di uno slogan e il team marketing finisce per impiegare il doppio del tempo per sceglierne uno.

Visto da una prospettiva di pensiero sistemico (system thinking), tutto questo si traduce semplicemente in tempo sprecato più velocemente. Ottimizzare un singolo passaggio — come premere il tasto “A” due volte più rapidamente — non rende più veloce la scrittura se il sistema complessivo resta invariato.

Allo stesso modo, se tutti i membri di un’organizzazione diventano “supereroi dell’AI” e svolgono le proprie mansioni individuali in meno tempo, il risultato non è una consegna più rapida di valore al cliente. Al contrario: il lavoro tende ad accumularsi nel collo di bottiglia successivo.

Un aumento della velocità in ingresso nel sistema non accelera la velocità in uscita: genera invece più lavoro in corso (Work in Progress – WIP), più rilavorazioni e più caos.
È il risultato tipico della ottimizzazione locale, che porta inevitabilmente a una sub-ottimizzazione del sistema complessivo.

La via d’uscita da ML0: il pensiero sistemico

Per sfuggire alle tipiche logiche da organizzazione poco strutturata, è necessario superare la mentalità individualistica e adottare un autentico pensiero sistemico.

  • Passaggio a ML1 (Team-Focused): a questo livello si inizia a riconoscere l’identità dei team, a sviluppare la collaborazione e a incoraggiare l’iniziativa collettiva. L’introduzione di limiti al Work in Progress (WIP) per persona (LW 0.1) o per team (LW 1.1) contribuisce a ridurre il muri (sovraccarico), creando le basi per un flusso di lavoro più sostenibile.
  • Passaggio a ML2 (Customer-Driven): l’attenzione si sposta progressivamente sul cliente. La cultura organizzativa evolve dall’esecuzione dei compiti alla gestione del flusso. Si inizia a comprendere il lavoro come un servizio erogato al cliente, piuttosto che come una somma di attività interne. In questa fase, la mancanza di pensiero sistemico rappresenta il principale ostacolo al raggiungimento di ML2.
  • Passaggio a ML3 (Fit-for-Purpose): l’organizzazione raggiunge un grado più elevato di unità e allineamento, sviluppando un senso di scopo condiviso. Il servizio viene erogato in modo coerente con le aspettative del cliente e il sistema diventa realmente fit-for-purpose (idoneo allo scopo). In questo stadio, l’ottimizzazione non riguarda più il singolo o il team, ma l’intero flusso di valore end-to-end.

L’ottimizzazione che avviene nel passaggio da ML0 a ML1 rappresenta un progresso significativo per i membri dell’organizzazione, ma il funzionamento complessivo del servizio resta comunque unfit-for-purpose (non idoneo allo scopo) dal punto di vista del cliente. Per creare reale valore, è necessario evolvere verso ML3.

Il vero potenziale dell’AI per la crescita di maturità delle organizzazioni

Il vero valore e l’impatto organizzativo emergono solo quando l’intelligenza artificiale viene applicata ai livelli di gestione del flusso e della strategia (ML2, ML3 e ML4). Le organizzazioni hanno bisogno di approcci che favoriscano l’evoluzione dell’intero sistema, non solo l’efficienza delle singole parti.

Nella tabella seguente sono riportate alcune indicazioni e possibili applicazioni dell’AI, suddivise per livello di maturità:

Livello KMMObiettivo OrganizzativoImpiego dell’AI
ML2 (Customer-Driven)Coordinamento e flusso: far fluire il lavoro tra team.L’AI analizza le capacità interfunzionali e identifica le dipendenze e i conflitti tra gli obiettivi dei diversi dipartimenti.
ML3 (Fit-for-Purpose)Allineamento e scopo: soddisfare in modo sostenibile le aspettative del cliente.L’AI può segnalare quando le azioni intraprese non sono allineate con la strategia o con lo scopo del servizio.
ML4 (Risk-Hedged)Rischio e sostenibilità economica: robustezza e bilanciamento degli interessi degli stakeholder.L’AI è in grado di simulare scenari — ad esempio l’impatto di spostare il 30% del budget — analizzare il portfolio in termini di valore generato e fornire valutazioni sui possibili rischi. ML4 richiede anche una solida alfabetizzazione matematica, fondamentale per l’uso efficace di modelli predittivi e simulazioni Monte Carlo.

Mentre l’ottimizzazione individuale resa possibile dall’AI può semplificare le attività quotidiane, il suo impatto a livello sistemico resta nullo quando il lavoro deve attraversare più unità organizzative, richiedendo coordinamento e approvazioni.

Per raggiungere livelli evoluti di agilità e resilienza (ML3, ML4 e oltre), è necessario spostare l’attenzione dall’AI come strumento per creare “supereroi individuali” all’AI come leva per costruire sistemi robusti, integrati e allineati.
Questi sistemi, tuttavia, iniziano a prendere forma solo a partire da ML2 e ML3.

Fino ad allora, l’ottimizzazione tipica di ML0 — per quanto utile e pratica — non è in grado di produrre effetti significativi sull’efficacia complessiva dell’organizzazione.

Ho pubblicato originariamente questo articolo per il portale Kanban Help, al quale collaboro insieme al collega Luca Gambetti.
Visita Kanban Help – www.kanban.help – per conoscere gli strumenti formativi e di coaching che ti possono aiutare a introdurre il metodo Kanban nella tua azienda.

Il potere della Narrazione nel metodo Kanban: creare coesione, contesto e cambiamento

Nel mondo della gestione del lavoro, i dati, le metriche e i processi sono fondamentali. Tuttavia, per raggiungere una vera agilità organizzativa e una profonda comprensione del proprio lavoro, un elemento spesso sottovalutato si rivela cruciale: la Narrazione. Il Kanban Maturity Model (KMM) identifica la Narrazione come uno dei valori culturali essenziali per evolvere da un’organizzazione semplicemente focalizzata sui compiti a una guidata dal cliente e pronta per il futuro. Ma cosa significa esattamente “valorizzare la narrazione” nel contesto Kanban e perché è così importante?

Cos’è la Narrazione e perché è fondamentale

Valorizzare la narrazione significa andare oltre i semplici fatti e dati per abbracciare la storia che fornisce contesto e background storico. Le narrazioni non sono semplici aneddoti; sono strumenti potenti che aiutano a:

  • Definire l’identità: le storie ci dicono chi siamo come team e come organizzazione e perché esistiamo. Questo senso di identità è un pilastro per costruire la fiducia e il capitale sociale, specialmente quando si passa da un focus individuale (ML0) a un focus di squadra (ML1).
  • Creare connessioni emotive: le narrazioni creano un legame emotivo che rafforza la coesione sociale e la fiducia tra i membri del team e con i clienti. In Kanban, la fiducia è essenziale per la collaborazione e per ridurre l’incertezza.
  • Fornire contesto al lavoro: una storia può spiegare perché un cliente ha richiesto un determinato lavoro, mettendo le attività in un contesto più ampio. Questo favorisce una maggiore empatia e una comprensione più profonda delle esigenze e delle aspettative del cliente, un valore chiave per raggiungere ML2 (Customer-Driven).
  • Guidare il miglioramento: abbinando informazioni quantitative a narrazioni qualitative, i team possono prendere decisioni più appropriate per migliorare il flusso di lavoro. Le storie che emergono durante le cadenze Kanban , come la Service Delivery Review, aiutano a formare empatia e guidare il cambiamento.

La Narrazione come abilitatore a ogni livello di evoluzione organizzativa

La narrativa è un abilitatore fondamentale a ogni livello di evoluzione dell’organizzazione. Il suo ruolo evolve man mano che l’organizzazione evolve:

  • Da ML1 a ML2: a livello ML1, l’identità è ‘tribale‘ e focalizzata sul team. Per progredire, è necessario sviluppare un’identità di gruppo più ampia, a livello di servizio, per costruire la fiducia tra team diversi. I leader devono promuovere identità sovraordinate forti che uniscano le persone. Le narrazioni sono lo strumento perfetto per costruire e rinforzare queste identità condivise, raccontando storie di successi collaborativi che superano i confini dei singoli team. Inoltre, episodi eccezionali di particolare rilevanza possono diventare parte della narrativa e dell’identità dell’organizzazione, venendo condivisi con i nuovi assunti.
  • Consolidamento di ML2 e oltre: a partire da ML2, la narrazione diventa cruciale per comprendere il contesto in cui vengono eseguiti i processi. Combinata con dati su domanda e capacità, permette di migliorare il flusso di lavoro in modo più efficace. Ascoltare le narrazioni delle persone completa i dati e le osservazioni, sviluppando una migliore comprensione del contesto e degli individui coinvolti nel servizio. Questo, a sua volta, permette di affinare l’approccio ai miglioramenti suggeriti e implementati.
  • Costruire la memoria istituzionale e la resilienza: per i livelli di evoluzione organizzativa più avanzati, la narrazione è essenziale per preservare la memoria istituzionale. Raccontare e condividere la storia dell’organizzazione, incluse le esperienze di crisi passate, aiuta a costruire la resilienza e la capacità di affrontare le difficoltà future. Un’organizzazione che valorizza la propria storia e la utilizza nell’onboarding dei nuovi dipendenti sta compiendo passi espliciti per rafforzare un’identità che evolve nel tempo.

Come coltivare la Narrazione in un contesto Kanban

Raccogliere e condividere narrazioni richiede tempo e attenzione, ma è un investimento prezioso. Ecco alcuni modi pratici per integrare la narrativa nel metodo Kanban:

  1. Utilizzare le cadenze Kanban: le riunioni Kanban, come la Service Delivery Review e l’Operations Review, non servono solo per raccogliere i dati, ma anche per raccontare le storie. Durante un Team Kanban Meeting, il team si impegna a raccontare la storia che si dipana sulla board, il flusso dei ticket. Le review a cadenza più ampia sono l’occasione per raccontare la storia di un intero anno, magari dedicando l’ultima review annuale a una retrospettiva completa.
  2. Visualizzare la storia: la storia di un’organizzazione può essere messa in mostra. Si possono usare fotografie dell’evoluzione delle Kanban board, diari degli eventi, o le presentazioni delle Operations Review accumulate nel tempo per creare una storia visiva dell’implementazione e della crescita.
  3. Incorporare le storie nell’onboarding: l’orientamento dei nuovi assunti è un momento perfetto per usare la storia dell’azienda per rafforzare l’identità e i valori. Storie di iniziative eccezionali o di successi ottenuti grazie alla collaborazione possono diventare parte del folklore aziendale.
  4. Creare momenti di condivisione: metaforicamente, ogni organizzazione ha bisogno di “riunirsi attorno al fuoco per raccontarsi le proprie storie“. Questo può tradursi in sessioni dedicate, newsletter interne o spazi fisici dove i successi e gli apprendimenti vengono condivisi in forma narrativa.

Conclusione

In conclusione, sebbene Kanban sia un metodo profondamente radicato nella visualizzazione, nella gestione del flusso e nei dati, il suo pieno potenziale si sblocca solo quando si riconosce il valore della Narrazione. Le storie danno un’anima ai processi, trasformando un gruppo di individui in un’organizzazione coesa, empatica e resiliente, pronta non solo a eseguire il lavoro, ma a comprenderlo, migliorarlo e renderlo sostenibile nel lungo termine. Le narrazioni ci dicono “chi siamo e perché esistiamo“, e questa è la base per qualsiasi cambiamento significativo e duraturo.

Ho pubblicato originariamente questo articolo per il portale Kanban Help, al quale collaboro insieme al collega Luca Gambetti.
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Il valore della Comprensione (Understanding): il cuore nascosto del metodo Kanban

Nel panorama della gestione del lavoro e dell’agilità organizzativa, il metodo Kanban è spesso associato a lavagne visive, limiti al Work-in-Progress (WIP) e al miglioramento del flusso. Tuttavia, al di sotto di queste pratiche visibili, si cela un valore culturale fondamentale che agisce come vero e proprio catalizzatore per l’evoluzione: la Comprensione (Understanding). Il Kanban Maturity Model (KMM) evidenzia come la Comprensione non debba essere un semplice esercizio intellettuale, ma una tassello fondamentale per costruire organizzazioni resilienti, adattabili e orientate al cliente.

Cos’è la Comprensione nel contesto Kanban?

Nel KMM, il valore della Comprensione si riferisce alla ricerca attiva di una profonda conoscenza della natura del proprio ambiente di lavoro. Questo significa studiare, osservare e raccogliere prove per capire comecosaperché e chi sono gli elementi del proprio flusso di lavoro. Non si tratta di una comprensione astratta, ma di un’accettazione pragmatica della realtà operativa: le capacità attuali, i processi in essere, le dinamiche del team e le policy (implicite o esplicite) che governano il lavoro quotidiano.

Una delle frasi chiave che riassume questo valore è: non c’è spazio per il pensiero velleitario in Kanban” (There is no wishful thinking in Kanban). Ciò implica un passaggio da una gestione basata su speranze e supposizioni a una fondata sulla realtà osservabile.

La Comprensione come fondamento per raggiungere ML2

La Comprensione è uno dei valori culturali chiave necessari per consentire a un’organizzazione di passare dal livello di maturità 1 (ML1), focalizzato sul team, a ML2, orientato al cliente. Un’organizzazione a ML1 è spesso caratterizzata da team che lavorano isolati, con scarsa consapevolezza del contesto più ampio. Per superare questa fase, è essenziale sviluppare una comprensione di base che si concentri su:

  • Il lavoro richiesto: capire la natura delle attività e come eseguirle con coerenza e qualità.
  • I servizi forniti: comprendere i flussi di lavoro (workflow) che supportano i servizi e la collaborazione necessaria per erogare tali servizi.
  • Le policy in atto: analizzare le regole che governano il lavoro e il loro impatto sulle performance e sulle capacità.

Senza questa comprensione di base, è improbabile implementare con successo pratiche più avanzate. Per esempio, per passare direttamente da ML0 a ML2, è necessario che il valore della Comprensione per le dinamiche dell’ambiente di lavoro sia già presente, altrimenti l’iniziativa è destinata a fallire.

Come si sviluppa e si applica la Comprensione?

Il metodo Kanban offre pratiche specifiche che promuovono attivamente la Comprensione. Una delle pratiche generali di Kanban è Migliora collaborando, evolvi sperimentando (Improve Collaboratively, Evolve Experimentally). Questa pratica si basa sulla premessa che una comprensione completa e corretta della situazione attuale richiede una raccolta collaborativa di osservazioni e intuizioni da parte di persone con ruoli e prospettive diverse.

A ML2, la pratica IE 2.4 (Definire azioni per sviluppare una comprensione di base del processo e migliorare il flusso) è un esempio diretto di come la comprensione venga coltivata. L’obiettivo è sviluppare una comprensione di base di cosa, del perché, di chi e come del processo, in modo che tutti i soggetti coinvolti comprendano le ragioni dietro le azioni di miglioramento. L’implementazione di questa pratica include l’ascolto delle narrazioni delle persone per integrare i dati raccolti, sviluppando così una comprensione più ricca del contesto e degli individui.

Inoltre, la visualizzazione e le metriche aiutano enormemente a costruire la comprensione. Una Kanban board, ad esempio, non è solo uno strumento di gestione, ma un meccanismo di riflessione che rende visibile il lavoro invisibile, creando trasparenza e, di conseguenza, empatia e fiducia.

Dalla Comprensione interna a quella esterna

Il KMM distingue tra una comprensione interna (tipica di ML2) e una esterna (necessaria per ML3 e oltre).

  • Comprensione (interna) a ML2: si concentra sull’accettare pragmaticamente il proprio ambiente e le proprie capacità attuali.
  • Comprensione (esterna) a ML3: si espande per includere una profonda empatia con il cliente. Non basta sapere cosa chiede il cliente, ma è fondamentale capire il perché della sua richiesta, il suo contesto e i rischi che sta gestendo.

Questa evoluzione della comprensione è ciò che permette a un’organizzazione di diventare veramente Fit-for-Purpose (adatta allo scopo), progettando servizi che non solo funzionano bene internamente, ma che soddisfano pienamente le esigenze del cliente.

Conclusione

La Comprensione non è un valore passivo, ma una disciplina attiva che richiede curiosità, pragmatismo e collaborazione. È il fondamento su cui si costruisce un’organizzazione solida, capace di superare la fragilità dei livelli iniziali e di evolvere verso una maggiore resilienza e soddisfazione del cliente. Senza un impegno deliberato a “comprendere”, le pratiche Kanban rischiano di rimanere superficiali, lasciando sul tavolo gran parte dei benefici economici e organizzativi che il metodo può offrire. In definitiva, per Kanban, comprendere la propria realtà non è solo il primo passo, ma una pratica continua che alimenta ogni miglioramento significativo.

Ho pubblicato originariamente questo articolo per il portale Kanban Help, al quale collaboro insieme al collega Luca Gambetti.
Visita Kanban Help – www.kanban.help – per conoscere gli strumenti formativi e di coaching che ti possono aiutare a introdurre il metodo Kanban nella tua azienda.

Il valore del Cambiamento Evolutivo nel metodo Kanban: evolvere per adattarsi e prosperare

Nel mondo della gestione aziendale e dello sviluppo tecnologico, la parola cambiamento evoca spesso immagini di riorganizzazioni drastiche, produttività in calo a seguito di tali iniziative e resistenza da parte del personale coinvolto. Il metodo Kanban propone un approccio radicalmente diverso: il cambiamento evolutivo. Invece di imporre trasformazioni traumatiche, Kanban promuove un’evoluzione graduale e collaborativa, partendo dalla situazione attuale per costruire un’organizzazione più resiliente, adatta allo scopo (fit-for-purpose) e, in ultima analisi, costruita per la sostenibilità a lungo termine.


Il fumetto originale sulla copertina del libro Kanban: Successful Evolutionary Change for Your Technology Business di David J. Anderson.

Inizia con quello che fai oggi: un principio fondamentale

Il cuore del cambiamento evolutivo in Kanban risiede nel principio di Change Management “Inizia con quello che fai oggi“. Questo approccio rispetta i processi, i ruoli e le responsabilità esistenti, evitando di scatenare quella crisi psicologica che spesso accompagna i cambiamenti strutturali drastici. I metodi tradizionali di gestione del cambiamento e molti approcci Agile spesso impongono nuovi ruoli e riorganizzazioni, che possono essere percepiti come una minaccia all’identità, allo status e alla dignità delle persone, generando resistenza. Come ha affermato Peter Senge, “le persone non resistono al cambiamento, resistono all’essere cambiate”.

Il cambiamento evolutivo è di natura normativa, ovvero si concentra sulla modifica di metodi e strumenti senza alterare immediatamente la struttura sociale. Questo approccio riduce l’ansia e la paura, rendendo le modifiche più accettabili e, di conseguenza, più facili da istituzionalizzare.

Il motore del cambiamento: stressor, riflessione e atto di leadership

Il cambiamento evolutivo non avviene per caso, ma è guidato da tre elementi essenziali, magnificamente illustrati nella vignetta sulla copertina del libro Kanban: Successful Evolutionary Change for Your Technology Business di David J. Anderson:

  1. Uno stressor: è necessaria una motivazione per cambiare. Può trattarsi di insoddisfazione per lo stato attuale, come evidenziato dalle frasi “Sono bloccato“, “Ho troppo da fare” o “Non ho nulla da fare” nella vignetta. Lo stressor crea una tensione emotiva che spinge alla ricerca di un miglioramento.
  2. Un meccanismo di riflessione: la Kanban board e le Cadenze Kanban (Team Kanban Meeting, Replenishment Meeting, Service Delivery Review, ecc.), forniscono l’occasione per visualizzare e riflettere sugli stressor. Le cadenze sono meccanismi di riflessione codificati, progettati per catalizzare la domanda di cambiamento.
  3. Un atto di leadership: senza un catalizzatore, la frustrazione diventa inerzia. La frase “Facciamo qualcosa al riguardo!” rappresenta l’atto di leadership che trasforma la riflessione in azione. Questo va oltre la semplice iniziativa, tipica di organizzazioni poco strutturate, perché catalizza l’azione di tutto il gruppo. Valorizzare gli atti di leadership è fondamentale perché comportano un rischio personale; l’organizzazione deve quindi creare sicurezza psicologica per incoraggiarli.

Un percorso guidato: il Kanban Maturity Model (KMM)

Il Kanban Maturity Model (KMM) funge da roadmap per questo percorso evolutivo, fornendo una guida pragmatica, basata sull’evidenza, per raggiungere una vera agilità aziendale. Il KMM riconosce che le organizzazioni meno strutturate non sono in grado di gestire grandi iniziative di cambiamento con profonde fasi di transizione. Propone invece un approccio incrementale con tante piccole transizioni, molto più adatto a tali contesti.

Il modello utilizza le pratiche di transizione per introdurre piccoli stressor, pensati per scuotere le persone dalla loro zona di comfort e creare una richiesta (“pull“) per ulteriori cambiamenti. Queste pratiche sono normative e facili da adottare, preparando il terreno per le pratiche di consolidamento, che sono necessarie per raggiungere i risultati attesi per un determinato livello di maturità ma che incontrerebbero resistenza se introdotte troppo presto. Questo modello, simile al coaching sportivo, applica la giusta dose di stress per catalizzare il miglioramento senza portare l’organizzazione e le persone a un punto di rottura.

I benefici tangibili del Cambiamento Evolutivo

Adottare un approccio evolutivo con Kanban porta a vantaggi significativi e duraturi.

  • Robustezza e antifragilità: i processi che emergono da forze evolutive sono intrinsecamente più robusti e adatti al contesto specifico rispetto a soluzioni progettate ‘a tavolino’. Le soluzioni progettate a tavolino sono fragili, il cambiamento evolutivo è robusto. Questa capacità di adattarsi continuamente agli stress ambientali è ciò che Nassim Nicholas Taleb ha definito antifragilità.
  • Riduzione della resistenza: evitando cambiamenti strutturali drastici, si minimizza la resistenza emotiva radicata nella minaccia all’identità. L’approccio “sii come l’acqua” suggerisce di aggirare gli ostacoli (la resistenza) scegliendo cambiamenti normativi che non attaccano il thymos (lo spirito, l’identità) delle persone.
  • Cambiamenti che si istituzionalizzano: poiché i cambiamenti emergono in modo collaborativo e vengono proposti dalle persone che compongono l’organizzazione stessa, hanno molte più probabilità di essere interiorizzati e di diventare “il modo in cui qui facciamo le cose“. Sono cambiamenti che durano nel tempo, anche al cambiare delle persone.
  • Migliore performance economica: un approccio evolutivo è molto più economico. Uno studio comparativo della China Merchants Bank ha mostrato che Kanban ha prodotto risultati migliori e più rapidi di altri approcci a solo una frazione del costo per dipendente, proprio perché evita la necessità di un coaching costante per gestire la crisi psicologica indotta dai metodi più drastici.
  • Costruzione della resilienza organizzativa: il cambiamento evolutivo è al centro della costruzione della resilienza. Permette di orchestrare rapidamente nuovi servizi e di adattarsi a crisi e turbolenze di mercato. In un’epoca in cui la resilienza è il nuovo imperativo per i leader, l’approccio evolutivo di Kanban fornisce gli strumenti fondamentali per costruirla.

Conclusione

In conclusione, il valore del cambiamento evolutivo nel metodo Kanban non risiede solo nel miglioramento dei processi, ma nella trasformazione fondamentale dell’organizzazione in un’entità vivente, capace di apprendere, adattarsi e prosperare in un mondo complesso e in continuo mutamento. Non si tratta di implementare una nuova metodologia, ma di integrare nel DNA dell’organizzazione la capacità di evolvere.

Ho pubblicato originariamente questo articolo per il portale Kanban Help, al quale collaboro insieme al collega Luca Gambetti.
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Il viaggio del Personal & Team Capacity Planning: dalle congetture ai flussi di lavoro stabili

Questo articolo è la traduzione in italiano di un articolo già precedentemente pubblicato in inglese su questo blog.
Link all’articolo originale.

Da oltre un decennio ho il privilegio di affiancare individui e team in numerose organizzazioni, aiutandoli con l’ausilio di una pratica che ho chiamato Personal Capacity Planning e, più recentemente, Personal & Team Capacity Planning. Si tratta di un metodo che, secondo la mia esperienza empirica, aumenta la produttività e offre un maggiore senso di controllo sul modo in cui i team gestiscono il proprio lavoro. Questo percorso, dalle sue origini alla sua applicazione odierna, si è profondamente intrecciato con i principi e le pratiche del metodo Kanban.

L’origine di un’idea: supportare l’implementazione di Lean

I miei primi passi in quello che sarebbe poi diventato il Personal & Team Capacity Planning risalgono al 2009-2010, quando applicavo Lean come Delivery Manager in un’azienda tecnologica. All’epoca non era una pratica formalizzata con un nome; ho semplicemente iniziato a fare pianificazione delle capacità personali su un foglio di carta. Era un approccio pragmatico ed empirico, inizialmente poco più che un esercizio per comprendere l’utilizzo del tempo personale e far sì che i miei team prendessero coscienza del fatto che le loro capacità personali erano limitate.

La mia comprensione di questo concetto si è approfondita notevolmente nel tempo e dopo aver iniziato a studiare Kanban e il Kanban Maturity Model (KMM). Ad un certo punto è diventato chiaro come questa riflessione personale sulla capacità potesse essere uno strumento utile per le organizzazioni. Ho riportato brevemente questa evoluzione iniziale nel mio primo articolo sull’argomento.

L’evoluzione con Kanban: definire i limiti al WIP

Man mano che la mia conoscenza di Kanban cresceva, cresceva anche la pratica. Si è evoluta in modo specifico per aiutare a definire i limiti al lavoro in corso (WIP). Questo è stato un passo fondamentale, riconoscendo che la necessità di limiti al WIP deriva direttamente dalla capacità produttiva limitata di un team, che a sua volta è vincolata dalla capacità limitata di ogni singolo membro. Il mio secondo articolo ha approfondito come il Personal Capacity Planning aiuti a definire questi limiti fondamentali.

Mi ha ispirato anche lo scambio di idee con Susanne Bartel di Flow Hamburg su questo argomento, così come una presentazione che ha tenuto all’Agile & Kanban Coaching Exchange. Questa presentazione mi ha fatto conoscere il Token System, un concetto che ora ho integrato pienamente nella mia pratica.

Il panorama attuale: token di capacità e bilanciamento dei flussi

Oggi ritengo che questa pratica sia fondamentale per supportare i team consolidati che lavorano su due o più flussi di lavoro. Una sfida comune per tali organizzazioni, in particolare quando iniziano a utilizzare Kanban, è l’allocazione delle risorse tra i vari flussi di lavoro.

L’implementazione di Kanban può essere sfidante per i team che lavorano su più flussi di lavoro, soprattutto se questi flussi differiscono in modo significativo o sono vincolati da sistemi legacy separati. Sebbene spesso vi sia il desiderio di integrare i flussi, ciò è raramente fattibile praticamente a causa delle diverse esigenze operative o degli strumenti incompatibili. I team fanno anche resistenza all’adozione di nuovi sistemi, come le Kanban board, percependoli come un ulteriore onere di gestione. Una strategia più pragmatica consiste nell’integrare i principi e le pratiche Kanban direttamente nell’infrastruttura di flusso di lavoro esistente, trasformando efficacemente i sistemi attuali in ambienti compatibili con Kanban senza la necessità di piattaforme completamente nuove.

Nel prossimo capitolo approfondirò queste idee, concentrandomi sull’applicazione pratica del metodo Kanban all’interno di organizzazioni che già gestiscono più flussi di lavoro. Descriverò come aiuto questi team ad allocare le risorse in modo più efficace. Il processo inizia con la mappatura di una “settimana tipica ipotetica”, prima a livello individuale, poi aggregata per team. Le fasce orarie vengono convertite in “token di capacità”, che vengono poi distribuiti tra i vari flussi di lavoro. Questo metodo aiuta a bilanciare i carichi di lavoro e a ottimizzare l’uso delle risorse. In definitiva, l’obiettivo è quello di stabilizzare il sistema complessivo applicando limiti al WIP dei singoli flussi e bilanciando la capacità tra di essi, garantendo una distribuzione del lavoro più efficiente e armoniosa.

L’implementazione pratica: il Personal & Team Capacity Planning all’opera

Ecco come funziona in pratica il Personal & Team Capacity Planning:

  • Immaginare la settimana: chiedo ai team di immaginare la loro settimana tipo teorica, proprio come descritto nei miei articoli precedenti. Ciò comporta che ogni membro annoti una stima della propria capacità settimanale, quasi come una previsione di programma suddivisa in slot orari. È fondamentale sottolineare che non si tratta di un programma, ma di uno strumento per riflettere su come utilizzano il proprio tempo e per riconoscere i limiti fisici della propria capacità.
  • Dagli slot ai token di capacità: una volta che ogni membro del team ha ipotizzato i propri slot, viene calcolata la capacità totale del team e trasformata in token di capacità. È importante stabilire una connessione tra gli slot individuali e i token collettivi del team per sottolineare che ogni individuo contribuisce al team e che ciò che conta è la capacità collettiva del team.
  • Allocazione strategica e limiti al WIP: durante le cadenze Kanban, riflettiamo collettivamente su come assegnare questi token di capacità ai vari flussi di lavoro. In base alla capacità assegnata a ciascun flusso, definiamo quindi i rispettivi limiti al WIP. L’obiettivo è quello di bilanciare i flussi, evitando situazioni in cui alcuni flussi hanno una capacità eccessiva mentre altri ne hanno troppo poca. Se osserviamo un flusso sottoperformante mentre altri eccellono, possiamo riequilibrare visivamente spostando la capacità. Questo spostamento segnala intuitivamente la necessità di adeguare i limiti al WIP per limitare i flussi con risorse in eccesso e dare spazio a quelli che necessitano di maggiore capacità. Si tratta di un equilibrio empirico in cui i limiti al WIP non solo stabilizzano il flusso, ma svolgono anche un duplice ruolo nell’assegnazione della capacità tra flussi paralleli, rendendo così l’intero sistema più stabile e affidabile.

La pratica attraverso i livelli del Kanban Maturity Model

Tipicamente introduco la pratica di Personal & Team Capacity Planning quando analizzo la capacità produttiva attuale all’interno di STATIK (System Thinking Approach to Implementing Kanban). Retrospettivamente, ho visto questa pratica evolversi in modo significativo attraverso diversi livelli di maturità all’interno di un’organizzazione, come definito dal Kanban Maturity Model (KMM).

A livello di maturità zero (ML0), quando l’organizzazione è assente e gli individui operano in modo indipendente, questa pratica serve ad aiutare le persone a comprendere il proprio lavoro. L’obiettivo è incoraggiare il passaggio da un approccio individualistico a uno in cui gli individui iniziano a lavorare in squadra a ML1. Per facilitare questa transizione, ogni membro del team identifica i propri token di capacità personali e il modo in cui li assegna. Ciò consente una discussione collettiva tra i membri del team per ridistribuire questi token, ora considerati come capacità complessiva del team, su un flusso di lavoro unificato.

Passando da ML1 a ML2, questa pratica sposta il proprio focus sul cliente. Il team decide collettivamente come allocare i propri token tra le attività e i flussi di lavoro per migliorare il servizio ai clienti. Ciò è particolarmente importante quando si ha a che fare con flussi di lavoro diversi difficili da unificare, poiché questi possono causare problemi e spingere le persone a tornare a gestire i sistemi individualmente o in silos. L’obiettivo in questa fase è gestire i sistemi in modo unificato, il che è fondamentale affinché un team possa passare da ML1 a ML2.

Lo stesso approccio si applica alla transizione da ML2 a ML3, anche se possono essere coinvolti team di lavoro diversi. Sebbene non sia sempre necessario, il riequilibrio dei carichi di lavoro all’interno di un team può comunque essere vantaggioso. A ML3, l’attenzione è rivolta all’allineamento dei flussi di lavoro in un sistema di servizi complessivo. Ciò può comportare la riallocazione delle risorse trasferendo i token dal flusso di lavoro di un team a quello di un altro, a condizione che ciò contribuisca al riequilibrio complessivo di tutti i flussi.

Infine, una volta che il sistema ha raggiunto ML3 ed è bilanciato su tutto il servizio, l’attenzione si sposta sulla gestione della variabilità della domanda e sulla copertura dei rischi per raggiungere ML4. Ciò comporta la possibilità di aggiungere token, ovvero di riservare una capacità che in realtà non esiste, ma che viene utilizzata nei periodi di picco. Ad esempio, durante i picchi stagionali (come settembre e giugno per un reparto risorse umane che sto seguendo), vengono utilizzate risorse aggiuntive (ad esempio, dipendenti part-time di altri reparti disposti a lavorare ore extra) come “team di riservisti”. Queste persone aggiuntive corrispondono ai token extra resi disponibili quando necessario. Questo concetto è integrato e ampliato nella pratica dell’utilizzo di classi di prenotazione in un sistema di prenotazione dinamico (MF 4.6), e consente la prenotazione di capacità non ancora disponibile.

Questo crea un continuum di sistemi di gestione della capacità, da ML0 a ML4 e oltre.

Affrontare realtà complesse: flussi di lavoro multipli e sistemi legacy

Il presupposto fondamentale di questo approccio è che i team lavorino tipicamente su più flussi di lavoro. Sebbene in alcune situazioni sia possibile gestire un singolo team con diversi tipi di attività all’interno di un unico flusso, spesso ciò non è fattibile. Questi flussi possono essere intrinsecamente diversi, con fasi e dinamiche uniche, oppure possono essere legati a sistemi di flusso di lavoro legacy disparati. In questi casi, è comune fare resistenza all’introduzione di nuove Kanban board perché i dati sono già presenti nei sistemi esistenti. La mia strategia consiste nello sfruttare questi sistemi esistenti e trasformarli in un sistema Kanban, in linea con il principio Kanban di “inizia con quello che fai oggi”.

I tre passi per ottenere un team maggiormente in controllo

Il metodo è fortemente empirico e pragmatico, pensato per evitare stime dispendiose in termini di tempo o pianificazioni rigide.

  1. Primo passo: cercare modelli settimanali. Anziché fare previsioni, analizziamo ciò che è stato fatto in media nelle ultime settimane o semplicemente monitoriamo le attività per due o tre settimane. Questo rivela come vengono distribuiti tipicamente i carichi di lavoro. Anche nelle organizzazioni meno mature (da ML0 a ML2), è affascinante vedere come emergano modelli sensati, come se le persone creassero istintivamente routine prevedibili per compensare le incongruenze. Questo rimane valido anche a livelli di maturità più avanzati.
  2. Secondo passo: adeguare i modelli per evolvere il flusso di lavoro. Questa tendenza istintiva può essere utilizzata per stabilizzare ed evolvere i flussi di lavoro. Ho osservato che assegnare token di capacità ai flussi di lavoro e assicurarsi che il team ne comprenda l’importanza contribuisce a stabilizzare il comportamento individuale e, di conseguenza, il sistema. Combinando questo approccio con altre pratiche Kanban, come la visualizzazione del lavoro, la raccolta di metriche e l’identificazione dei miglioramenti, i team sono in grado di adeguare collettivamente i modelli di capacità e migliorare i flussi di lavoro. Le cadenze Kanban, come il Team Kanban Meeting e la Service Delivery Review, forniscono un’occasione per discutere e condividere esperimenti sicuri per la regolazione dei modelli di capacità. Ciò porta a flussi di lavoro stabilizzati e ottimizzati nel tempo.
  3. Terzo passo: riservare la capacità come si ritiene opportuno. Questo processo di adeguamento e riequilibrio spesso comporta l’assegnazione di una capacità specifica. Quando ho implementato questo processo per la prima volta nel 2011 come Delivery Manager, il problema principale era la condivisione delle risorse tra i progetti e la manutenzione. Abbiamo creato degli slot di capacità per evitare conflitti e garantire che la capacità del progetto fosse realistica. Da allora, questo approccio è stato utile in vari scenari, dall’applicazione di Scrum con membri del team condivisi al bilanciamento dei carichi di lavoro per i team di supporto e sviluppo.

Il vero impatto: stabilità e padronanza di sé

La reazione iniziale all’introduzione di questa pratica è spesso il sospetto, la sensazione che io voglia “ingabbiare” e controllare il team. Tuttavia, con il passare del tempo, i team scoprono inevitabilmente che è esattamente il contrario: si tratta di un metodo gestito in modo autonomo che favorisce la stabilità e la prevedibilità nel loro sistema di lavoro, indipendentemente dalle pressioni esterne.

Una maggiore stabilità e prevedibilità consentono ai singoli individui e ai team di acquisire un controllo sempre maggiore sui livelli di servizio offerti ai propri clienti. Non si tratta di una limitazione, ma di un miglioramento del controllo. Allevia la pressione esterna e consente ai team di padroneggiare davvero i propri flussi di lavoro. Questo concetto controintuitivo trova la sua vera applicazione solo quando viene sperimentato, poiché si integra perfettamente con il metodo Kanban e i suoi principi fondamentali.

Fonti

  1. David J. Anderson, Kanban: Successful Evolutionary Change for Your Technology Business, Blue Hole Press, 2010
  2. David J. Anderson, Teodora Bozheva, Kanban Maturity Model: A Map to Organizational Agility, Resilience, and Reinvention – 2nd Edition, Kanban University Press, 2021
  3. Susanne Bartel, Managing Hybrid Projects with Kanban, canale YouTube dell’Agile & Kanban Coaching Exchange, 2024
  4. Marco Re, A Kanban-like system successfully implemented at Doxee in 2010-2012, portale Kanban+ della Kanban University, 2023
  5. Marco Re, Personal Capacity Planning: a practice that boosts Kanban teams productivity, pubblicato su questo blog, 2024
  6. Marco Re, An update on Personal Capacity Planning: a practice that boosts Kanban teams productivity, pubblicato su questo blog, 2024

The journey of Personal & Team Capacity Planning: from guesswork to stable workflows


For over a decade now, I’ve had the privilege of coaching individuals and teams in numerous organizations, guiding them through a practice I’ve come to call Personal Capacity Planning – and more recently Personal & Team Capacity Planning. It’s a method that in my empirical experience boosts productivity and brings an increased sense of control to how teams manage their work. This journey, from its beginnings to its application today, has become deeply intertwined with the principles and practices of the Kanban method.

The seed of an idea: supporting the implementation of Lean

My first steps into what would become Personal & Team Capacity Planning date back to 2009-2010, when I was applying Lean as a Delivery Manager at a technology company. Back then, it wasn’t a formalized practice with a name; I simply started doing personal capacity planning on a sheet of paper. It was a pragmatic, empirical approach, initially not much more than an exercise in understanding personal time usage and get my teams to become aware of the actual fact that their personal capacity was limited.

My understanding of this concept deepened significantly over time and after I began learning about Kanban and the Kanban Maturity Model (KMM). At some stage it became clear how this personal reflection on capacity could be a tool for organizations. I’ve briefly reported in my first article on the topic this initial evolution.

Evolving with Kanban: defining WIP limits

As my knowledge of Kanban grew, so did the practice. It evolved specifically to help define Work In Progress (WIP) limits. This was a crucial leap, recognizing that the need for WIP limits stems directly from the limited production capacity of a team, which in turn is constrained by the limited capacity of each individual member. My second article delved into how Personal Capacity Planning aids in defining these crucial limits.

I have also been inspired by the exchange of ideas with Susanne Bartel of Flow Hamburg on this topic, as well as by a presentation that she gave at the Agile & Kanban Coaching Exchange. This presentation made me aware of the capacity Token System, a concept that I have now fully integrated into my practice.

The current landscape: capacity tokens and flow balancing

Today, I find this practice instrumental in supporting established teams working across two or more workflows. A common challenge for such organisations, particularly when starting with Kanban, is allocating resources across their various workstreams.

Implementing Kanban can be challenging for teams working on multiple workflows, especially if these workflows differ significantly or are constrained by separate legacy systems. Although there is often a desire to integrate flows, this is rarely practical due to differing operational needs or incompatible tools. Teams may also resist adopting new systems, like Kanban boards, perceiving them as an added reporting burden. A more pragmatic strategy is to embed Kanban principles and practices directly into the existing workflow infrastructure, effectively transforming current systems into Kanban-compatible environments without the need for entirely new platforms.

In the next chapter, I will delve deeper into these ideas, focusing on the practical application of Kanban within organisations already managing multiple workflows. I’ll describe how I support these teams in allocating resources more effectively. The process begins by mapping out a ‘hypothetical typical week’—first at the individual level, then aggregated by team. Time slots are converted into ‘capacity tokens’, which are then distributed across the various workflows. This method helps balance workloads and optimise the use of resources. Ultimately, the aim is to stabilise the overall system by applying WIP limits to individual flows and managing capacity across them, ensuring a more efficient and harmonious distribution of work.

The practical implementation: Personal & Team Capacity Planning at work

This is how Personal & Team Capacity Planning works in practice:

  • Imagining the week: I ask teams to envision their typical theoretical week, much like the descriptions in my earlier articles. This involves each member jotting down a guess of their weekly capacity, almost like a schedule forecast divided into slots. Crucially, I always emphasize that it’s not a schedule, but a tool for reflection on how they use their time and to acknowledge the physical limits of their capacity.
  • From slots to capacity tokens: Once each team member has guessed their slots, the total capacity for the team is calculated and transformed into ‘capacity tokens‘. It’s important to establish a connection between individual slots and collective team tokens to emphasise that each individual contributes to the team, and that the team’s collective capacity is what matters.
  • Strategic allocation and WIP limits: During Kanban cadences, we collectively reason about how to assign these capacity tokens to the various workflows. Based on the capacity assigned to each flow, we then define their respective WIP limits. The goal is to balance the flows, preventing situations where some flows have too much capacity while others have too little. If we observe a flow underperforming while others excel, we can visually re-balance by shifting capacity. This shift intuitively signals the need to adjust WIP limits to “throttle” over-resourced flows and give space to those that need more capacity. It’s an empirical equilibrium where WIP limits not only stabilize the flow but also play a dual role in assigning capacity across parallel flows, thus making the entire system more stable and reliable.

The practice across the Kanban Maturity Model levels

I primarily introduce the Personal & Team Capacity Planning practice within STATIK (System Thinking Approach to Implementing Kanban) when analysing current capacity. Retrospectively, I have seen the practice evolve significantly across different maturity levels within an organisation, as defined by the Kanban Maturity Model (KMM).

At maturity level zero (ML0), where the organization is oblivious and individuals operate independently, this practice serves to help people understand their work. The goal is to encourage a shift from an individualistic approach to one where individuals begin to work as a team at ML1. To facilitate this transition, each team member identifies their personal ‘capacity tokens’ and how they assign them. This allows for a collective discussion among team members to redistribute these tokens, now considered the team’s overall capacity, onto a unified workflow.

Moving from ML1 to ML2, this practice shifts its focus to the customer. The team collectively decides how to allocate their tokens across activities and workflows to improve customer service. This is particularly important when dealing with different workflows that are difficult to unify, as these can cause problems and push people back towards managing systems individually or in silos. The objective at this stage is to manage systems in a unified way, which is vital for a team to progress from ML1 to ML2.

The same approach applies to the transition from ML2 to ML3, although different work teams may be involved. While not always necessary, rebalancing workloads within a team can still be beneficial. At ML3, the focus is on aligning workflows into an overall service system. This may entail reallocating resources by transferring tokens from one team’s workflow(s) to another’s, provided it contributes to the overall rebalancing of all flows.

Finally, once the system has reached ML3 and is balanced across the entire service, the focus shifts to managing demand variability and risk hedging to reach ML4. This involves the ability to add tokens, meaning capacity is reserved that doesn’t actually exist, but is brought in during peak periods. For example, during seasonal peaks (such as September and June for an HR department I am coaching), additional resources (e.g. part-time employees from other departments who are willing to work extra hours) are utilised as a ‘reserve team‘. These additional people correspond to the extra tokens made available when needed. This concept is integrated into, and expands upon, the practice of using classes of booking in a dynamic reservation system (MF 4.6) , enabling the reservation of capacity that is not yet available.

This creates a continuum of capacity management systems, from ML0 to ML4 and beyond.

Addressing complex realities: multiple workflows and legacy systems

The core premise of this approach is that teams typically work across multiple workflows. While it might be possible to manage a single team with different work item types within one flow in some situations, this is often not feasible. These flows can be intrinsically different, with unique steps and dynamics, or they may be tied to disparate legacy workflow systems. In such cases, it is common to resist the use of new Kanban boards because data is already held in existing systems. My strategy is to leverage these existing systems and transform them into a Kanban system, in line with the Kanban principle of ‘start with what you do now’.

The three steps to empowered teams

The method is highly empirical and pragmatic, designed to avoid time-consuming estimates or rigid scheduling.

  1. Step one: look for weekly patterns. Rather than making forecasts, we analyse what has been done on average over the last few weeks or simply track activities for two to three weeks. This reveals how loads are typically distributed. Even in less mature organisations (ML0 to ML2), it is fascinating how sensible patterns appear, as if people instinctively create predictable routines to compensate for inconsistencies. This remains valuable even at higher maturity levels.
  2. Step two: adjust the patterns to evolve the workflow. This instinctive tendency can be used to stabilise and evolve workflows. I have observed that allocating capacity tokens to workflows and ensuring the team understands their importance helps stabilise individual behaviour and consequently the system. Combining this with other Kanban practices, such as visualising work, collecting metrics and identifying improvements, enables teams to collectively adjust capacity patterns and improve workflows. Kanban cadences, such as the Team Kanban Meeting and the Service Delivery Review, provide a platform for discussing and sharing safe-to-fail experiments for adjusting capacity patterns. This leads to stabilised and optimised workflows over time.
  3. Step three: reserve capacity as you see fit. This adjustment and rebalancing process often involves allocating specific capacity. When I first implemented this process in 2011 as a Delivery Manager, the main issue was the sharing of resources between projects and maintenance. We created capacity slots to prevent conflicts and ensure that project capacity was realistic. Since then, this approach has helped in various scenarios, from applying Scrum with shared team members to balancing workloads for support and development teams.

The true impact: stability and self-mastery

The initial reaction to introducing this practice is often suspicion – a feeling that I want to ‘cage’ and control the team. However, over time, teams invariably discover that it’s the opposite: an autonomously managed method that fosters stability and predictability in their working system, irrespective of external pressures.

Greater stability and predictability mean that individuals and teams gain increasing control over the service levels they offer their customers. This isn’t about limitation; it’s about empowerment. It relieves external pressure and allows teams to truly master their own workflows. This counterintuitive concept truly clicks only when experienced, as it integrates seamlessly with the Kanban Method and its core principles.

Sources

  1. David J. Anderson, Kanban: Successful Evolutionary Change for Your Technology Business, Blue Hole Press, 2010
  2. David J. Anderson, Teodora Bozheva, Kanban Maturity Model: A Map to Organizational Agility, Resilience, and Reinvention – 2nd Edition, Kanban University Press, 2021
  3. Susanne Bartel, Managing Hybrid Projects with Kanban, YouTube Channel of Agile & Kanban Coaching Exchange, 2024
  4. Marco Re, A Kanban-like system successfully implemented at Doxee in 2010-2012, Kanban+ portal of Kanban University, 2023
  5. Marco Re, Personal Capacity Planning: a practice that boosts Kanban teams productivity, issued on this blog, 2024
  6. Marco Re, An update on Personal Capacity Planning: a practice that boosts Kanban teams productivity, issued on this blog, 2024

Perché scelgo Kanban: costruire il metodo su misura per ogni organizzazione

Nel vasto panorama delle metodologie di gestione e trasformazione organizzativa, ho trovato nel metodo Kanban un approccio che rispecchia profondamente il modo di vedere e affrontare le sfide aziendali che seguo da sempre. Kanban non è infatti un insieme prescrittivo di regole da seguire, bensì una lente estremamente pragmatica, una leva potente per il successo delle organizzazioni.

Kanban funziona perché è reale

Ciò che mi ha subito attratto del metodo Kanban, sin dalla lettura nel 2010 del libro Kanban: Successful Evolutionary Change for Your Technology Business di David J. Anderson, che ha dato il via al movimento e poi alla Kanban University, è stata la sua natura intrinsecamente concreta e basata sul pragmatismo. Vi ho ritrovato una serie di spunti di buon senso e di soluzioni applicative pratiche che funzionano, molte delle quali avevo già avuto modo di sperimentare nel mio percorso professionale all’interno delle organizzazioni di servizi. Alcune le avevo imparate strada facendo, molte le avevo ricavate dai principi Lean – che sono poi la fonte di Kanban – e altre ancora le avevo scoperte in maniera sperimentale, perché è la realtà stessa che te le insegna. Questa capacità di attingere direttamente all’esperienza concreta, per me, è il vero punto di forza di Kanban.

Kanban è costituito da un insieme di strumenti molto concreti, che sono stati raccolti in un corpus organico, il Kanban Maturity Model (KMM), formalizzato a partire dalla prima edizione ufficiale pubblicata nel 2018. Questo mi permette di avere finalmente a disposizione una visione d’insieme e una prospettiva chiara su come applicare le oltre 150 pratiche che compongono il metodo Kanban, mettendole in sinergia. Nella mia attività di consulenza, il KMM mi dà una direzione e un insieme di strumenti per raggiungere l’obiettivo di costruire un metodo di lavoro su misura per l’azienda in cui opero.

Ho analizzato e documentato un caso di studio relativo a una situazione che ho gestito in passato e che, riletta retrospettivamente attraverso la lente del Kanban Maturity Model, si è rivelata un esempio concreto di applicazione del metodo Kanban. Questo perché il metodo Kanban non consiste in una sequenza di passi da seguire, ma rappresenta un modo di osservare la realtà e di affrontare la trasformazione organizzativa in modo consapevole. Per me è la sintesi di anni di esperienza sul campo ed è diventato una leva potente per migliorare il funzionamento delle organizzazioni con cui collaboro.

Un abilitatore per altri framework

La sua natura molto pragmatica, rende Kanban straordinariamente compatibile con tantissimi altri framework e metodologie che ho incontrato e applicato nel corso della mia vita professionale, come per esempio ITIL, PRINCE2, AgilePM, TOGAF e Scrum, solo per citarne alcuni.

Questi framework presentano le ‘best practice‘ in modo teorico, suggerendo un adattamento al contesto organizzativo, ma senza offrire indicazioni pratiche su come metterle realmente in atto. Possono rappresentare un valido punto di riferimento e contribuire a definire una direzione, ma le soluzioni concrete devono essere costruite su misura, in base alla specifica realtà di ciascuna organizzazione. Ecco perché, quando mi chiedono: “Applichiamo questo o quel metodo?“, la mia risposta è invariabilmente: “No, non applichiamo questo o quel metodo; applichiamo il vostro metodo, che costruiremo insieme“. Kanban mi ha dato un nome e una struttura riconoscibile per questo approccio.

I pilastri di Kanban: valori e gestione del flusso

Un altro aspetto fondamentale in cui mi sono pienamente ritrovato nel metodo Kanban è l’importanza data ai valori. Valori come la collaborazione, la leadership, la trasparenza e il rispetto sono elementi che ho sempre riconosciuto come essenziali per il buon funzionamento di un’organizzazione e per favorire un cambiamento efficace.

L’esperienza dimostra che, in un percorso di trasformazione organizzativa, oltre alla competenza tecnica e agli strumenti di gestione, ciò che fa davvero la differenza è la motivazione e il coinvolgimento delle persone — una questione di leadership e di attenzione al fattore umano. Il metodo Kanban sistematizza questi pilastri — il fattore umano e i valori, così come le pratiche e la struttura organizzativa — in un meccanismo di sviluppo evolutivo. Tale meccanismo, che include uno ‘stressor‘, un ‘meccanismo di riflessione‘ e un ‘atto di leadership‘, è la leva per il cambiamento evolutivo e per la trasformazione aziendale (Enterprise Transformation), oltre che per la gestione quotidiana (Enterprise Services Management). Il duplice obiettivo è, da un lato, efficientare ciò che già esiste e, dall’altro, favorire l’evoluzione organizzativa.

Un altro valore cruciale di Kanban è quello del Flow (Flusso). Creare le condizioni per un flusso di lavoro stabile è fondamentale perché porta a una situazione in cui il lavoro diventa prevedibile e di qualità. Questo si traduce in una riduzione dello stress e della pressione sui membri del team, e in una maggiore efficacia e credibilità per le organizzazioni. Imparare a identificare gli elementi che rendono affidabili la qualità e i tempi di risposta è il cuore del servizio al cliente e dell’affidabilità di un’organizzazione di servizi. In sintesi, è la capacità di gestire il rischio operativo.

Conclusione

In definitiva, Kanban non è semplicemente un metodo tra tanti, ma una lente attraverso cui leggere la realtà aziendale in modo pragmatico ed evolutivo. È un approccio che unisce valori e strumenti concreti per costruire, insieme all’organizzazione, un metodo su misura capace di adattarsi al contesto reale. Applicare il metodo Kanban significa scegliere di partire dalla realtà, dalle persone, dal buon senso e dalla volontà condivisa di evolvere. È questo che rende il cambiamento possibile — e duraturo.

Ho pubblicato originariamente questo articolo per il portale Kanban Help, al quale collaboro insieme al collega Luca Gambetti.
Visita Kanban Help – www.kanban.help – per conoscere gli strumenti formativi e di coaching che ti possono aiutare a introdurre il metodo Kanban nella tua azienda.

Le tre agende del metodo Kanban: guidare l’evoluzione organizzativa in tempi turbolenti

Nel panorama economico odierno, caratterizzato da rapidi mutamenti tecnologici, economici e sociali, le organizzazioni di servizi si trovano spesso a navigare in acque turbolente. L’abilità di evolvere positivamente, mantenendo la stabilità e la pertinenza, è diventata un imperativo per la continuità operativa a lungo termine. Il metodo Kanban, supportato dal Kanban Maturity Model (KMM), offre ai dirigenti aziendali una guida pragmatica per affrontare queste sfide, fondando il proprio approccio su tre agende interconnesse: la sostenibilità, l’orientamento al servizio e l’adattabilità.

Comprendere il contesto turbolento

I periodi di equilibrio organizzativo possono essere interrotti da eventi drammatici che, pur potendo essere preceduti da turbolenze, sono seguiti da caos e ulteriore instabilità, fino al raggiungimento di una “nuova normalità”. Una situazione di tensione può esistere anche in periodi di apparente stabilità, dove problemi latenti (spesso manifestati come inerzia o insoddisfazione) possono portare a una crisi significativa, come durante la crisi finanziaria del 2008.

In questi contesti, la resistenza umana al cambiamento è un fattore critico. Come osservato da Peter Senge, “le persone non resistono al cambiamento, resistono all’essere cambiate”. I cambiamenti drastici e strutturali sul posto di lavoro (nuovi ruoli, riorganizzazioni) possano generare ansia, stress e paura, portando a una forte opposizione. Gli approcci tradizionali, spesso aggressivi e focalizzati su cambiamenti radicali, possono mettere le persone in una situazione di crisi psicologica, mettendo in seria difficoltà anche le organizzazioni.

Il metodo Kanban, al contrario, adotta un approccio al cambiamento evolutivo e incrementale, che evita di provocare una crisi nelle persone. Questo lo rende particolarmente adatto per guidare le organizzazioni attraverso la turbolenza, minimizzando gli effetti dannosi e il turnover del personale.

Le tre agende di Kanban: una bussola per la leadership

Le tre agende di Kanban forniscono una struttura integrata per la crescita e la resilienza aziendale:

  1. L’agenda della sostenibilità: rivolta verso l’interno dell’organizzazione, questa agenda si concentra su tre obiettivi fondamentali, alleviare il sovraccarico di lavoromigliorare la qualità dei risultati e sviluppare un autentico coinvolgimento professionale, sia nel contributo individuale che nella soddisfazione del cliente. Nei contesti meno strutturati, l’enfasi iniziale è posta sul sollievo dal sovraccarico per persone, team e flussi di lavoro, creando le condizioni per una maggiore qualità e prevedibilità del lavoro svolto. Il risultato è un ambiente professionale più sano, sostenibile e produttivo — condizione indispensabile per affrontare con efficacia le pressioni e le complessità esterne.
  2. L’agenda dell’orientamento al servizio: rivolta verso l’esterno, questa agenda si concentra sulla prestazione del servizio e sulla soddisfazione del cliente, promuovendo la capacità di mantenere gli impegnirispettare le scadenze con affidabilità e prendere decisioni gestionali basate sulla fiducia reciproca. Nel Kanban Maturity Model (KMM), il ruolo del cliente viene reso esplicito a partire dal livello 2, mentre il livello 3 rappresenta il punto in cui le aspettative del cliente sono soddisfatte in modo costante e sostenibile. Questa agenda orienta l’organizzazione verso il valore percepito dal cliente, stimolando un miglioramento della prevedibilità del servizio e della fiducia esterna — due elementi essenziali per competere efficacemente in contesti di mercato instabili e ad alta variabilità.
  3. L’agenda dell’adattabilità: questa agenda ha uno sguardo orientato al futuro e si concentra sullo sviluppo della resilienza organizzativa e della competitività sostenibile. Lo fa attraverso la capacità di fare promesse credibili e mantenibili e di guidare consapevolmente la strategia e il posizionamento dell’impresa nel tempo. È l’agenda che abilita le organizzazioni a diventare anti-fragili: capaci non solo di resistere alle pressioni esterne, ma di evolversi e rafforzarsi proprio in risposta agli stress ambientali. Questa prospettiva si manifesta pienamente solo nei livelli più evoluti di strutturazione organizzativa, dove diventa possibile una reinvenzione profonda dell’identità e dello scopo aziendale.

Come le agende supportano i dirigenti nell’evoluzione

L’integrazione di queste tre agende, guidata dal KMM, offre ai dirigenti e ai decisori aziendali una strategia robusta per l’evoluzione organizzativa in contesti turbolenti:

  • Cambiamento evolutivo, non radicale: fin dalla sua origine, il metodo Kanban adotta un approccio incrementale e adattivo al miglioramento dell’agilità organizzativa, in netto contrasto con i cambiamenti drastici e imposti tipici di altre metodologie. Questa via evolutiva, più rispettosa delle dinamiche umane, evita traumi organizzativi e resistenze psicologiche, rendendo il cambiamento più sostenibile e più facile da radicare nel tempo. In particolare, nelle organizzazioni meno strutturate, un approccio graduale e contestuale aumenta significativamente le probabilità di successo, rispetto a trasformazioni radicali avviate attraverso grandi iniziative di transizione.
  • Prevenzione delle crisi: anziché aspettare una crisi conclamata per avviare il cambiamento, Kanban promuove un intervento proattivo durante i periodi di stabilità, quando i problemi latenti possono essere affrontati con maggiore lucidità. Le agende del metodo supportano l’emersione e la risoluzione di insoddisfazioni e ostacoli operativi — come il sovraccarico di lavoro o le inefficienze nel flusso — trasformando l’inerzia organizzativa in spinta al miglioramento.
  • Costruire resilienza e adattabilità: Il metodo Kanban, attraverso le sue agende, favorisce lo sviluppo di resilienza strategica, operativa e individuale. Questo percorso comprende transizioni culturali e organizzative fondamentali: dalla burocrazia alla dinamicità emergente, dalla formalizzazione alla personalizzazione, dall’efficienza all’affidabilità e dal profitto alla ricerca di significato. Il modello contribuisce a sviluppare una maggiore sensibilità al contesto esterno e una tolleranza costruttiva verso nuove idee — tratti distintivi delle organizzazioni davvero resilienti. Nei contesti più strutturati, il KMM abilita la capacità di mettere in discussione in modo critico il come, il cosa, il perché e il per chi si lavora, una competenza chiave per la reinvenzione continua e la sopravvivenza nel lungo termine.
  • Decisioni basate sui dati e sul feedback continuo: le agende incoraggiano un uso sistematico di metriche e cicli di feedback, attraverso le cosiddette ‘Cadenze Kanban’ — come il Kanban Meeting, il Service Delivery Review e l’Operations Review. Questi momenti strutturati abilitano un’auto-valutazione onesta e una comprensione quantitativa della performance, fornendo ai decisori le informazioni necessarie per prendere decisioni consapevoli e adattarsi con rapidità ai cambiamenti del contesto.
  • Promuovere la leadership a ogni livello: Kanban promuove la leadership diffusa, incoraggiando atti di leadership a tutti i livelli dell’organizzazione — dalla proattività individuale alla capacità di mobilitare e ispirare il gruppo. Questo approccio distribuisce responsabilità e potere decisionale, rendendo l’organizzazione più resiliente, adattabile e meno dipendente da singole figure carismatiche o ‘manager eroi’.
  • Cambiamento duraturo: Kanban è progettato per garantire che il cambiamento culturale e l’adozione di nuove pratiche si consolidino e perdurino nel tempo, anche in presenza di turnover del personale. Le agende, i valori espliciti e i criteri decisionali fungono da guida, supportando un’evoluzione profonda e sostenibile che si radica saldamente nella cultura organizzativa.

Conclusione

In conclusione, le tre agende di Kanban – sostenibilità, orientamento al servizio e adattabilità – non sono solo principi teorici, ma una guida pratica per i dirigenti che desiderano condurre le loro organizzazioni di servizi verso un’evoluzione positiva in un ambiente sempre più turbolento. Adottando questo approccio sistemico e allo stesso tempo umano al cambiamento, le organizzazioni possono non solo resistere agli shock, ma anche emergere più forti, più agili e con una maggiore probabilità di successo a lungo termine.

Ho pubblicato originariamente questo articolo per il portale Kanban Help, al quale collaboro insieme al collega Luca Gambetti.
Visita Kanban Help – www.kanban.help – per conoscere gli strumenti formativi e di coaching che ti possono aiutare a introdurre il metodo Kanban nella tua azienda.

Enterprise Services Management & Transformation: Kanban come motore di resilienza e trasformazione

Sono appena rientrato dal Kanban Leadership Retreat organizzato dalla Kanban University a Bilbao, un’esperienza intensa e ricca di stimoli, che ha riunito professionisti ed esperti da tutto il mondo, accomunati dalla passione per l’applicazione e l’evoluzione del metodo Kanban. Una delle riflessioni centrali emerse, analizzando il contesto attuale attraverso un noto modello di Gartner, riguarda la duplice sfida che le organizzazioni devono affrontare costantemente: da un lato, gestire con efficienza le operazioni quotidiane (Run the Business), dall’altro, evolvere e innovare per restare competitive (Change the Business). Tenere in equilibrio queste due dimensioni è oggi più che mai cruciale, soprattutto in ambienti turbolenti e ad alta incertezza.

Il metodo Kanban si distingue come un approccio efficace e versatile, offrendo una via pragmatica ed evolutiva per affrontare entrambe queste dimensioni nel mondo dei servizi professionali, portando a una maggiore agilità e resilienza aziendale, non solo per l’Enterprise Services Management — gestione operativa quotidiana delle attività, per la quale è forse più noto — ma anche come catalizzatore per l’Enterprise Services Transformation — la trasformazione e l’evoluzione strategica delle organizzazioni. La sua forza risiede nella capacità di promuovere un cambiamento evolutivo, sostenibile e incentrato sui risultati.

Kanban per l’Enterprise Services Management (Run the Business)

Run the Business riguarda l’efficacia operativa, la prevedibilità e la qualità nella fornitura di servizi esistenti. Il metodo Kanban, nella sua essenza, si concentra sulla gestione efficace dei servizi e del flusso di lavoro, mirando a un’erogazione rapida, fluida, sostenibile e prevedibile del valore per il cliente, minimizzando rischi e costi di ritardo.

  1. Visualizzazione del lavoro e del flusso: una delle pratiche generali di Kanban è la visualizzazione. Le Kanban board rendono visibile il lavoro in corso, lo stato di avanzamento, gli elementi bloccati e le scadenze. Questo aiuta a identificare gli impedimenti e a prendere decisioni informate.
  2. Limitazione del Lavoro in Corso (WIP): limitare il WIP è cruciale per ridurre il sovraccarico di individui e sistemi, migliorare la prevedibilità dei tempi di consegna e far emergere i colli di bottiglia. Promuove i sistemi ‘pull’ (‘a chiamata’), incoraggiando il completamento delle attività prima di iniziarne di nuove, aumentando l’efficienza del flusso.
  3. Esplicitazione delle policy: rendere esplicite le policy di lavoro definisce regole chiare per la gestione del lavoro, come le priorità, le condizioni per la presa in carico e il completamento delle attività. Questo porta a una maggiore chiarezza, riduce l’ambiguità e facilita il consenso all’interno dell’organizzazione.
  4. Cicli di Feedback (cadenze Kanban): Kanban introduce un set di cadenze o riunioni di revisione periodiche, come il Team Kanban Meeting (quotidiano), il Replenishment Meeting, la Service Delivery Review, la Risk Review e la Operation Review. Questi cicli di feedback consentono l’osservazione empirica e l’adeguamento continuo di policy e processi, sono la vera catena di trazione di un sistema Kanban. Ad esempio, la Operation Review si concentra sulle interazioni tra servizi e sulle dipendenze, promuovendo il miglioramento continuo tra unità di business.
  5. Orientamento al servizio e al cliente: Kanban promuove una visione dell’organizzazione come una rete di servizi interdipendenti. L’obiettivo è comprendere e soddisfare le esigenze e le aspettative del cliente, con un forte focus sulla ‘idoneità allo scopo‘ (fitness-for-purpose) del prodotto o servizio. Ciò implica una chiara definizione dei tipi di lavoro in base alle richieste dei clienti e la gestione dell’intero flusso di valore dalla richiesta del cliente alla consegna.
  6. Ruolo dei manager: in Kanban il ruolo dei manager si evolve da quello di gestori di risorse a quello di responsabili del sistema di lavoro. l loro focus si sposta sulla definizione e il miglioramento delle policy, sulla facilitazione dei meccanismi di feedback e sull’incoraggiamento della collaborazione e della sperimentazione. Questo nuovo orientamento rafforza l’agilità dell’organizzazione, rendendo i manager abilitatori del cambiamento piuttosto che semplici esecutori di controllo. Ruoli specifici come il Flow Manager, il Delivery Manager e il Demand Manager emergono per garantire un flusso di lavoro efficiente e la soddisfazione del cliente.
  7. Gestione del rischio e migliori risultati economici: il Kanban Maturity Model (KMM) integra la gestione del rischio attraverso tecniche come le classi di servizio, l’allocazione della capacità e l’analisi del costo del ritardo. Questo permette decisioni sofisticate su selezione, sequenziamento e pianificazione del lavoro, portando a risultati economici superiori e maggiore prevedibilità. Le organizzazioni maggiormente strutturate sono in grado di prevedere le dipendenze e gestirle in modo proattivo.
  8. Processo decisionale basato sui dati: Kanban incoraggia la raccolta e l’analisi di dati relativi al flusso, come il lead time, il throughput e l’efficienza del flusso, utilizzando previsioni probabilistiche. Questo supporta decisioni informate e la capacità di anticipare le esigenze future.
  9. Classi di servizio: permettono di gestire diversi tipi di lavoro in base al costo del ritardo, come richieste urgenti, a data fissa o elementi standard. Questo permette di soddisfare le diverse esigenze dei clienti e dei segmenti di mercato.
  10. Gestione delle dipendenze: sebbene le dipendenze non possano essere eliminate, Kanban riduce l’overhead della loro gestione mediante l’impiego di tecniche visive e classi di gestione delle dipendenze basate sul costo del ritardo.

Kanban per l’Enterprise Services Transformation (Change the Business)

Change the Business implica la capacità di un’organizzazione di adattarsi, innovare e migliorare continuamente. Il metodo Kanban e il Kanban Maturity Model (KMM) offrono una roadmap per la trasformazione organizzativa, che facilita il cambiamento evolutivo con minima resistenza.

  1. Cambiamento evolutivo vs. radicale: a differenza di molti approcci che propongono cambiamenti strutturali e radicali, Kanban promuove una trasformazione incrementale, iniziando da ciò che si fa attualmente e rispettando ruoli e responsabilità esistenti. Questo approccio riduce la resistenza al cambiamento, poiché evita di minacciare l’identità o lo status degli individui. L’obiettivo è creare una spinta interna al cambiamento che si radichi e persista nel tempo.
  2. Kanban Maturity Model (KMM): il KMM costituisce una ‘guida’ e una ‘tabella di marcia’ che classifica oltre 150 pratiche in sette livelli di maturità organizzativa. Aiuta le organizzazioni a evitare errori comuni come il ‘plateau della presunta eccellenza’ (fermarsi a un’adozione superficiale) o l’eccessiva ambizione, che porta a tentare cambiamenti troppo complessi prematuramente. Fornisce una guida chiara su quali pratiche introdurre, in quale successione e con minore resistenza, o quali possano costituire un ‘fattore di stress’ sufficiente per promuovere un miglioramento antifragile.
  3. Cultura e valori: il KMM pone la cultura al centro della trasformazione. Sottolinea l’importanza di valori come la trasparenza, la fiducia, il rispetto, la collaborazione e la leadership a tutti i livelli. Il cambiamento culturale è guidato da questi valori espliciti, che vengono sostenuti dall’adozione di pratiche specifiche. I filtri decisionali sono uno strumento pragmatico per integrare i valori nella cultura aziendale.
  4. Stressor e meccanismi di riflessione: Il KMM riconosce che la trasformazione evolutiva richiede un ‘stressor‘ (un problema riconosciuto) e un ‘meccanismo di riflessione‘ (come le cadenze Kanban) per catalizzare l’azione e la discussione. Le pratiche di transizione nel KMM sono spesso progettate per fungere da stressor, coinvolgendo le persone emotivamente senza causare crisi.
  5. Costruzione della resilienza: la resilienza, ovvero la capacità di resistere e riprendersi dopo eventi negativi inattesi, è un obiettivo chiave della trasformazione guidata dal KMM. Il modello promuove la resilienza attraverso la sensibilità al contesto, la tolleranza verso nuove idee, lo sviluppo della leadership a tutti i livelli e uno spostamento dall’efficienza alla prevedibilità. Le organizzazioni maggiormente strutturate diventano antifragili, ovvero capaci di mutare e reinventarsi in risposta allo stress ambientale.
  6. Evoluzione dei ruoli: la flessibilità del metodo Kanban consente l’evoluzione dei ruoli e delle responsabilità senza la necessità di riorganizzazioni radicali. Invece di imporre nuovi titoli di lavoro, si incoraggiano le persone a assumere nuove responsabilità e a sviluppare nuove competenze. Questo approccio si allinea con il principio di aiutare le persone a ‘diventare una versione migliore di se stessi’ piuttosto che imporre loro una nuova identità.
  7. Leadership a ogni livello: Kanban incoraggia atti di leadership a tutti i livelli dell’organizzazione, non solo al vertice. Questo democratizza il cambiamento e lo accelera. La visibilità fornita da Kanban consente a tutte le parti interessate di vedere gli effetti delle proprie azioni o inazioni, promuovendo la collaborazione. Rendendo le policy esplicite e migliorando la trasparenza, Kanban aumenta il livello di fiducia e di capitale sociale all’interno dell’organizzazione.
  8. STATIK (Systems Thinking Approach to Introducing Kanban): è un approccio strutturato in 8 passi per introdurre Kanban, che aiuta a comprendere il contesto attuale del servizio, le fonti di insoddisfazione, la domanda, la capacità e a progettare un sistema Kanban su misura.
  9. Discovery Kanban (Upstream Kanban): questo aspetto di Kanban si concentra sullo sviluppo di idee e sulla gestione delle opzioni prima di impegnarsi a fare il lavoro. È fondamentale in un futuro incerto, poiché consente alle aziende di ridurre i rischi con lo sviluppo di molte idee aggiuntive alternative, gestendo efficacemente il flusso di idee e opzioni nella fase di scoperta e ideazione.

L’interconnessione di Enterprise Services Management e Enterprise Services Transformation

Kanban non separa le attività di Enterprise Services Management e Enterprise Services Transformation, piuttosto, le intreccia. Lo stesso approccio che permette di gestire in modo efficiente le operazioni quotidiane fornisce anche il meccanismo per la trasformazione continua. I cicli di feedback e la visione orientata ai servizi consentono all’organizzazione di allineare l’esecuzione operativa con l’adattamento strategico. Ad esempio, l’Operations Review, un’attività tipicamente di Run the Business, è anche un catalizzatore per il cambiamento, identificando i problemi di dipendenza e le opportunità di miglioramento a livello di sistema.

L’Enterprise Services Planning: il Material Requirements Planning (MRP) per il mondo dei servizi professionali

Proprio per questa sua caratteristica di integrare l’Enterprise Services Management e l’Enterprise Services Transformation, il metodo Kanban funge da approccio fondamentale per l’Enterprise Services Planning (ESP), per gestire vaste reti di servizi interdipendenti all’interno di un’intera organizzazione. L’ESP permette l’applicazione del metodo Kanban a una scala organizzativa molto ampia, in particolare all’interno di reti di potenzialmente centinaia di servizi interdipendenti. Invece di pianificare i singoli elementi di lavoro, l’ESP si concentra sulla progettazione e l’evoluzione di un intero ecosistema di sistemi Kanban per fornire valore in modo prevedibile, rispettando le aspettative del cliente. Questo approccio considera l’organizzazione come un’architettura orientata ai servizi, dove ogni servizio può essere gestito con Kanban in modo indipendente e poi interconnesso attraverso meccanismi di feedback.

Gli aspetti chiave in cui l’ESP sfrutta i principi Kanban includono:

  • Scalabilità: l’ESP scala Kanban applicando i suoi principi a ogni servizio all’interno della rete, riconoscendo che gli approcci orientati ai servizi sono in gran parte indipendenti dalla scala.
  • Gestione delle dipendenze: l’ESP offre indicazioni specifiche e pratiche avanzate per la gestione delle dipendenze in grandi imprese, un’area in cui i metodi tradizionali spesso incontrano difficoltà a causa dei vincoli di tempo. Questo include concetti come i sistemi dinamici per riservare la capacità produttiva, che si basano sulle classi di servizio e di prenotazione della capacità.
  • Previsione avanzata e triage: l’ESP utilizza metodi di previsione sofisticati come la previsione per classi di riferimento e le simulazioni Monte Carlo. Incorpora anche le Triage Tables, che estendono le classi di servizio di Kanban per aiutare le organizzazioni a decidere quale lavoro svolgere “ora, più tardi o per nulla” in base al probabile costo del ritardo.
  • Maturità organizzativa: l’ESP non si limita a migliorare le prestazioni locali, ma fornisce soluzioni complete per la gestione delle dipendenze a livello aziendale e per l’agilità complessiva del business. Supporta la leadership e il processo decisionale a ogni nodo della rete, guidato dai valori e dai principi di Kanban.

Conclusione

Il metodo Kanban è un approccio completo che permette alle aziende di operare con maggiore efficienza e prevedibilità (Enterprise Services Management) e, allo stesso tempo, di evolvere e adattarsi a un ambiente in continua trasformazione (Enterprise Services Transformation). La sua enfasi sulla trasformazione evolutiva, sulla trasparenza, sulla gestione del flusso e sulla leadership a tutti i livelli lo rende uno strumento estremamente potente per l’agilità aziendale a larga scala, andando oltre i singoli team per ottimizzare l’intero ecosistema di erogazione dei servizi delle organizzazioni.

Ho pubblicato originariamente questo articolo per il portale Kanban Help, al quale collaboro insieme al collega Luca Gambetti.
Visita Kanban Help – www.kanban.help – per conoscere gli strumenti formativi e di coaching che ti possono aiutare a introdurre il metodo Kanban nella tua azienda.

Il metodo Kanban e l’H-Factor: coltivare il fattore umano nell’era dei progetti digitali

La nostra vita, sia personale che professionale, è costantemente intessuta di progetti, dal piccolo traguardo quotidiano alla grande impresa che segna una svolta. Al centro di ogni progetto, indipendentemente dalla sua scala o dalla crescente pervasività di tecnologie emergenti come l’intelligenza artificiale e la realtà virtuale, c’è e ci sarà sempre il “Fattore Umano”. In questa nuova era, caratterizzata da complessità e rapidi cambiamenti, la capacità e le competenze delle persone assumono un valore ancora maggiore. Donne e uomini di talento sono chiamati a fare la differenza, contribuendo in modo decisivo al successo dei progetti.

Come possiamo, dunque, valorizzare al meglio questo insostituibile “Fattore Umano” e supportarne la crescita in un contesto sempre più digitale e orientato ai progetti?
Se ne parla domani, venerdì 13 giugno, a Bari al PMI Forum.

In questo articolo voglio evidenziare come il metodo Kanban si riveli una leva strategica e operativa potentissima proprio per lo sviluppo umano e professionale, grazie al suo solido impianto valoriale e al suo approccio evolutivo.

Kanban: non solo strumenti, ma valori per le persone

Il metodo Kanban è basato su principi e valori che vanno oltre la mera ottimizzazione dei processi. È un approccio che pone l’attenzione sulle persone e incoraggia la collaborazione. I valori culturali, in particolare come definiti nel Kanban Maturity Model (KMM), non sono concetti astratti, ma principi guida che plasmano il comportamento e la cultura organizzativa, fondamentali per l’evoluzione.

I valori del metodo Kanban hanno un impatto diretto sulla crescita e sulla valorizzazione del “Fattore Umano”. Alcuni di questi li ho esplorati più a fondo nei miei ultimi articoli:

  1. Rispetto (Respect): rispettare le persone nel metodo Kanban significa riconoscere le loro competenze, condizioni e responsabilità. Implica creare un ambiente che permetta loro di esprimere il proprio potenziale, fornendo formazione, risorse, strumenti, tempo, spazio e regole chiare. Le persone hanno bisogno di conoscere il loro scopo, come contribuire e quali risultati sono attesi, per sviluppare autonomia, padronanza e un forte senso di significato nel lavoro. Questo valore si traduce anche nella gestione del carico di lavoro, riducendo il sovraccarico (Muri) e l’irregolarità (Mura) nel flusso, pratiche che migliorano la concentrazione, riducono lo stress e aumentano la qualità della vita lavorativa. L’approccio evolutivo di Kanban, che evita cambiamenti traumatici e parte da ciò che esiste, è anch’esso una manifestazione del rispetto per le persone e la loro identità.
  2. Achievement (Raggiungimento dei risultati): la consapevolezza di raggiungere risultati è fondamentale per la realizzazione personale. Kanban valorizza i piccoli successi e i passi avanti compiuti, contribuendo a rafforzare la resilienza. La visualizzazione del lavoro completato su una Kanban board individuale può diventare una ‘bacheca dei trofei’, un riconoscimento personale che motiva. Nelle organizzazioni più mature, l’achievement evolve da valore privato a valore sociale e riconosciuto, attraverso indicatori visivi, celebrazioni, riconoscimento formale e narrativa organizzativa. Questo valore è un elemento culturale fondamentale per far progredire l’organizzazione.
  3. Trasparenza (Transparency): la trasparenza è un valore fondamentale e una pratica abilitante nel metodo Kanban. Attraverso la visualizzazione del lavoro, delle policy, dei rischi e delle aspettative, Kanban garantisce una comprensione condivisa, facilitando il processo decisionale, la collaborazione e la condivisione della conoscenza. Rende visibile ciò che sarebbe altrimenti invisibile. Policy esplicite migliorano la fiducia nell’organizzazione, creando condizioni per la responsabilizzazione. La trasparenza sui dati e sulle performance permette decisioni basate su fatti concreti, non su percezioni soggettive. Soprattutto, la trasparenza in Kanban favorisce lo sviluppo dell’empatia. Vedere il flusso, i blocchi, le tensioni, i rischi non solo fa comprendere, ma fa anche “sentire” le dinamiche del sistema, creando una consapevolezza condivisa. Sebbene la trasparenza possa incontrare resistenze legate al controllo delle informazioni, condividere il maggior numero possibile di informazioni è essenziale per rafforzare l’affidabilità organizzativa.
  4. Collaborazione (Collaboration): Kanban promuove attivamente la collaborazione. È un valore culturale esplicito essenziale per l’evoluzione organizzativa. Dalle board individuali aggregate che mostrano il lavoro di più persone, facilitando l’aiuto reciproco, si passa alla cooperazione tra team per offrire un servizio al cliente. La visualizzazione, i cicli di feedback (cadenze), le policy esplicite, l’orientamento ai servizi e la cultura Kaizen (miglioramento continuo) sono tutte pratiche che alimentano la collaborazione. Gestire il lavoro, non le persone, sposta il focus e incoraggia i team a collaborare per far progredire il flusso.
  5. Leadership e Responsabilità (Leadership and Accountability): Kanban incoraggia atti di leadership a tutti i livelli, non solo ai vertici gerarchici. La leadership è vista come un atto, un’azione, che si manifesta nella capacità di ispirare gli altri all’azione attraverso esempio, parole e riflessione. Questo è intrinsecamente legato alla responsabilità: chiunque agisca per migliorare o risolvere un problema si assume una responsabilità. La leadership è necessaria a tutti i livelli per il miglioramento continuo. La responsabilità dei leader è quella di catalizzare discussioni e spingere all’azione per affrontare le sfide. Una mancanza di leadership è spesso dovuta a una mancanza di responsabilità. Kanban promuove una cultura di accountability, dove gli individui sono responsabili delle proprie azioni e dei risultati collettivi. Leader e individui sono incoraggiati ad assumersi la responsabilità in prima persona, agendo con affidabilità e accettando rischi (“skin in the game“). Anche i ruoli formali di leadership, come i manager, hanno la responsabilità di guidare il miglioramento continuo del flusso.
  6. Scopo (Purpose): La definizione e condivisione di uno scopo chiaro e condiviso è uno strumento concreto ed efficace per responsabilizzare e alimentare la leadership a tutti i livelli. Fornisce il “senso” necessario affinché le persone si sentano abilitate ad agire da leader e a migliorare attivamente il sistema. Lo scopo guida il comportamento, orienta le decisioni e responsabilizza. È la base per atti di leadership distribuita e un antidoto alla mentalità vittimistica.

Kanban: una leva strategica e operativa per i progetti e la crescita umana

Se i modelli di Project Management tradizionali vedono i progetti come unici e irripetibili, un’analisi Kanban rivela che la maggior parte delle attività progettuali aziendali è in realtà standardizzabile e ripetibile, riconducibile a schemi produttivi come la produzione in linea o a lotti. Proprio perché molte attività non sono uniche, Kanban si rivela efficace per ottimizzare il flusso di lavoro. Il Kanban Project, Programme e Portfolio Management (KPPM) estende l’applicazione di Kanban alla gestione di progetti complessi, basandosi su pensiero sistemico, gestione del flusso e una cultura collaborativa orientata allo scopo.

In questo contesto progettuale, dove tecnologia e processi avanzano rapidamente, Kanban non solo offre strumenti operativi per migliorare l’efficienza, ridurre i tempi di consegna e minimizzare gli sprechi, ma diventa una leva strategica per valorizzare e far crescere il “Fattore Umano”:

  • Permette di applicare concretamente i concetti teorici nella realtà quotidiana.
  • Aiuta a visualizzare i processi, a gestire e dare priorità al lavoro, e a vedere le fasi con chiarezza, superando difficoltà comuni.
  • Contribuisce a rendere visibili i flussi di valore, individuare inefficienze e migliorare la capacità di risposta.
  • Grazie al suo approccio evolutivo e incrementale, permette di iniziare dal basso, osservando il lavoro reale dei team e applicando gradualmente i principi e i framework come riferimento e Kanban come strumento quotidiano di evoluzione organizzativa.
  • Evita rotture traumatiche che minaccerebbero l’identità delle persone.
  • Fornisce i meccanismi di feedback (cadenze) essenziali per coordinare e migliorare continuamente il modo di lavorare, fungendo da vero meccanismo di trazione per un sistema Kanban. Questi momenti di riflessione sono cruciali per tradurre l’insoddisfazione in azione, catalizzata dalla leadership.
  • Combatte la sindrome del “plateau della presunta eccellenza”, che si verifica quando le organizzazioni si fermano dopo i successi iniziali legati soprattutto al benessere del team, non affrontando barriere più profonde di natura culturale e sociologica. Il KMM fornisce una roadmap per superare questo stallo e sbloccare benefici più significativi, richiedendo consapevolezza e la disponibilità ad affrontare queste barriere.

Conclusione

In un mondo di progetti sempre più permeato dalla tecnologia, le capacità umane di leadership, responsabilità, collaborazione, empatia e orientamento allo scopo, supportate da una trasparenza basata sui dati e da un rispetto per l’individuo e il suo lavoro, diventano gli elementi distintivi che permettono al talento di fare la differenza. Kanban, fornendo un framework operativo che incarna questi valori e promuove un cambiamento evolutivo, diventa uno strumento potente per coltivare l’”H-Factor”, garantendo che le persone non siano relegate a meri esecutori in sistemi gestiti dalla tecnologia, ma rimangano al centro, guidando l’innovazione e il successo dei progetti.

Attraverso Kanban, il “Fattore Umano” è abilitato a prosperare, non solo gestendo i progetti in un’era digitale, ma guidandoli con intelligenza, empatia e scopo.

Ho pubblicato originariamente questo articolo per il portale Kanban Help, al quale collaboro insieme al collega Luca Gambetti.
Visita Kanban Help – www.kanban.help – per conoscere gli strumenti formativi e di coaching che ti possono aiutare a introdurre il metodo Kanban nella tua azienda.