La trasformazione organizzativa è un’impresa complessa. Molte aziende si scontrano con la frustrazione di iniziative che perdono slancio, team che non si sentono coinvolti e processi che, nonostante le buone intenzioni, non riescono a “fare presa”. Si investe in nuovi strumenti e si ridisegnano interi flussi di lavoro, ma i risultati sperati spesso tardano ad arrivare.
E se la chiave del successo non fosse un altro strumento complesso o una revisione massiccia? Se la soluzione si nascondesse in un approccio più semplice e profondamente umano? In questo articolo, esploreremo alcuni spunti fondamentali per rendere la trasformazione non solo possibile, ma duratura, partendo da un principio fondamentale: l’apprendimento condiviso.
Principio chiave #1: la trasformazione è un cambio culturale, non solo un aggiornamento di processi
Un cambiamento di successo va oltre l’introduzione di nuovi strumenti o procedure. Affinché una trasformazione metta radici, deve essere sostenuta da una solida base culturale. Il successo dipende da diversi fattori chiave che lavorano in sinergia:
Allineamento della leadership: i leader devono avere una comprensione condivisa della visione, degli obiettivi e dei risultati attesi.
Questo allineamento diventa tangibile quando i leader partecipano attivamente alle sessioni di apprendimento, dimostrando il loro impegno nella trasformazione.
Comunicazione chiara: le persone devono capire perché il cambiamento è necessario, quali sono i benefici e come influenzerà il loro lavoro quotidiano.
L’apprendimento di gruppo crea un forum naturale per questa comunicazione, dove le domande trovano risposta in tempo reale.
Persone coinvolte: la trasformazione ha successo quando i membri del team si sentono partecipi, motivati e autorizzati a contribuire con le proprie idee.
Il processo di decidere insieme cosa imparare e come applicarlo è la forma più alta di coinvolgimento.
Processo decisionale basato sui dati: l’utilizzo di risultati misurabili e metriche trasparenti garantisce che il team possa vedere i progressi compiuti e adattarsi secondo necessità.
Basarsi su evidenze misurabili è essenziale per garantire che la trasformazione resti saldamente ancorata alla realtà.
Una cultura dell’apprendimento: incoraggiare la curiosità, la sperimentazione e l’apprendimento condiviso aiuta i team ad adottare nuove pratiche in modo efficace.
Questa non è solo una voce dell’elenco, ma il motore che alimenta tutte le altre.
Tra tutti questi elementi, promuovere una cultura dell’apprendimento condiviso agisce come un potente catalizzatore, in grado di accelerare e rafforzare tutti gli altri.
Principio chiave #2: la vera svolta è imparare insieme
Il modo in cui un team impara una nuova prassi di lavoro, come il Metodo Kanban, è importante quanto la prassi stessa. Apprendere insieme non è solo un’attività di gruppo; è una strategia di trasformazione. Questo approccio è efficace perché crea una visione comune, stimola discussioni costruttive e assicura che ogni persona si senta parte del processo. Invece di delegare la formazione a pochi individui, coinvolgere l’intero team fin dall’inizio getta le basi per un’adozione più profonda e unificata.
Quando i team imparano Kanban insieme, la trasformazione diventa un viaggio condiviso anziché una sfida individuale.
Principio chiave #3: i piccoli miglioramenti costanti raggiungono il risultato
Le trasformazioni di maggior successo non nascono da cambiamenti grandi e dirompenti, ma da una serie di piccoli e continui miglioramenti. Questo approccio, esemplificato dal Kanban Maturity Model (KMM), permette a un’organizzazione di evolversi in modo costante e incrementale, senza generare stress eccessivo o resistenza.
La forza di questo metodo risiede nella sua capacità di costruire slancio positivo. Ogni piccolo successo aumenta la fiducia del team e fornisce dati concreti per guidare le decisioni future. Invece di basarsi su supposizioni, il team impara ad adattarsi e a migliorare passo dopo passo, utilizzando metriche trasparenti per rendere il cambiamento misurabile e sostenibile.
Come iniziare: il modello del club letterario aziendale
Rendere l’apprendimento un’abitudine è più semplice di quanto si pensi. Un’idea pratica ed efficace è organizzare sessioni regolari di team, strutturate come un club letterario dedicato al lavoro. Il ciclo è semplice e si articola in tre passaggi:
Imparare e identificare: il team studia nuovo materiale e ogni membro identifica l’idea più sorprendente o di maggior valore.
Contestualizzare e discutere: il gruppo si riunisce per condividere queste idee e discutere: “Come si applica questo concetto al nostro lavoro specifico? Quali ostacoli potremmo incontrare?“
Decidere un esperimento: insieme, si definisce un piccolo e concreto cambiamento da sperimentare prima della sessione successiva, trasformando l’intuizione in azione.
Questo approccio trasforma l’apprendimento da un evento isolato a un’abitudine continua e orientata all’azione, integrando il miglioramento direttamente nel flusso di lavoro del team.
Conclusione: la vostra prossima conversazione
In definitiva, il potere di una trasformazione di successo non risiede nella complessità degli strumenti, ma nella forza dell’apprendimento collettivo e della comprensione condivisa. È qui che il cambiamento smette di essere un’imposizione esterna e si trasforma in un’evoluzione interna, guidata dal team stesso.
La domanda da porsi non è “quale grande cambiamento dobbiamo fare?”, ma una molto più semplice e potente: qual è il primo, piccolo argomento che il vostro team potrebbe iniziare a imparare insieme la prossima settimana?
Ho pubblicato originariamente questo articolo per il portale Kanban Help, al quale collaboro insieme al collega Luca Gambetti. Visita Kanban Help – www.kanban.help – per conoscere gli strumenti formativi e di coaching che ti possono aiutare a introdurre il metodo Kanban nella tua azienda.
Nell’articolo precedente ho condiviso un’esperienza personale che mi ha confermato, sul campo, come un flusso di lavoro sia davvero efficiente solo quando funziona al 60-70% della sua capacità potenziale. Cercare di spingerlo fino al 100% significa, inevitabilmente, condurlo al collasso: il sistema si satura, rallenta e finisce per bloccarsi.
La spiegazione di questo fenomeno, apparentemente controintuitivo, risiede nella solida base scientifica di un caso particolare della Teoria delle Code, comunemente noto come Legge di Little. Prende il nome da John D. C. Little, professore alla MIT Sloan School of Management, che la ha formulata.
La teoria delle code applicata ai flussi di lavoro
Possiamo visualizzare il nostro sistema come un “tubo di flusso” che eroga un servizio, i cui clienti sono le richieste di lavoro, che chiameremo work item (rappresentati nell’immagine come post-it).
Per analizzare questo sistema, utilizziamo tre concetti chiave:
Lambda (λ): la frequenza con cui arrivano i work item; ovvero, quanto viene caricato il sistema.
Mu (μ): la capacità produttiva del sistema; ovvero, il numero medio di work item serviti dal sistema per unità di tempo.
Work In Progress (Ls o WIP): il numero medio di work item in corso di lavorazione all’interno del sistema.
Nell’ipotesi che la frequenza di carico (λ) e la capacità produttiva (μ) siano costanti, entra in gioco la Legge di Little. Il modello semplificato che andiamo ad applicare si basa anche sulle seguenti ipotesi :
la coda segue una logica FIFO (first-in-first-out, il primo work item in coda è il primo servito)
i work item sono serviti su un unico canale, i tempi di servizio sono indipendenti gli uni dagli altri, seguendo una distribuzione tale per cui “μ” work item per unità di tempo possono essere serviti in media
i tempi di servizio sono indipendenti dal numero degli arrivi
La Legge di Little stabilisce che il WIP (Ls) è uguale alla frequenza di carico (λ) moltiplicata per il Tempo di Ciclo (Ws). Il Tempo di Ciclo è il tempo medio di permanenza di ciascun work item all’interno del sistema.
La Teoria delle Code ci fornisce anche la formula per calcolare il Tempo di Ciclo (Ws) del sistema, nell’ipotesi che la capacità produttiva (μ) sia maggiore della frequenza di carico (λ):
Quando il carico eccessivo blocca il flusso
Per comprendere l’importanza di mantenere non troppo elevato il carico, analizziamo cosa succede a un sistema che ha una capacità produttiva (μ) di 10 work item per ogni giornata lavorativa di 8 ore:
Carico giornaliero (λ)
Tasso di carico
Tempo di Ciclo medio (Ws)
Work In Progress (Ls)
Effetto sul sistema
5 work item
50%
1 ora e 36 minuti
1 work item
Sistema scarico
6 work item
60%
2 ore
1,5 work item
Sistema quasi carico
7 work item
70%
2 ore e 40 minuti
2,3 work item
Ancora accettabile
8 work item
80%
4 ore, quasi raddoppia
4 work item
Limite di stallo
9 work item
90%
8 ore
9 work item
Sistema quasi bloccato
10 work item
100%
Impossibile calcolare
Impossibile calcolare
Sistema in stallo completo
Come si può notare, l’aumento del carico non produce un incremento lineare della produttività, ma una vera e propria impennata del Tempo di Ciclo e del WIP.
Se passiamo da 6 a 8 work item al giorno, il Tempo di Ciclo raddoppia, così come il Work in Progress, che schizza a 4 work item in media. Quando il carico raggiunge 9 work item, il Tempo di Ciclo raddoppia ancora, costringendoci ad aspettare essenzialmente un giorno intero per vedere evaso un singolo work item. Al 100% del carico, le formule indicano un Tempo di Ciclo infinito, ovvero che il sistema si blocca.
Il punto di equilibrio: il 65% circa del carico massimo
In pratica, affinché il sistema mantenga un flusso efficiente, il numero di work item con cui andrebbe caricato è tra 6 e 7. Un calcolo più raffinato ci dimostra che l’ottimale è all’incirca il 65% del carico massimo.
Questo significa che il nostro sistema raggiunge la sua massima efficienza quando lo carichiamo non più del 65% della sua capacità.
Il ruolo delle micro-interazioni
A questo punto potremmo porci una domanda legittima: perché un carico apparentemente basso — circa due terzi della capacità massima — garantisce la massima efficienza?
Questo accade perché, anche se spesso non ce ne accorgiamo, nei sistemi di flusso avvengono costantemente una miriade di micro-interazioni tra tutte le parti che li compongono. Queste interazioni, impercettibili prese singolarmente, nel loro insieme finiscono per rallentare in modo significativo il sistema.
Un esempio emblematico di questo fenomeno sono le code a tratti in autostrada. Quando il traffico raggiunge la saturazione, le auto iniziano a rallentare e fermarsi senza una causa apparente. Questa continua alternanza di frenate e ripartenze nasce da una moltitudine di micro-interazioni tra i veicoli, che, sommandosi, finiscono per bloccare l’intero sistema.
Lo stesso principio vale anche per i nostri flussi di lavoro. È proprio per questo che limitare il lavoro in corso (limit WIP) rappresenta una delle pratiche fondamentali del metodo Kanban.
Conclusione
Per garantire che un flusso di lavoro possa raggiungere la sua massima efficienza in modo sostenibile nel tempo, è di vitale importanza assicurarsi che non sia caricato troppo oltre la soglia del 65% della sua capacità. Ridurre il carico di lavoro non è segno di sottoutilizzo, ma la chiave per accelerare il flusso, ridurre drasticamente il Tempo di Ciclo e aumentare la produttività.
Bibliografia
Paul Newbold, Principles of Management Science, Prentice-Hall, 1986
David J. Anderson, Teodora Bozheva, Kanban Maturity Model: A Map to Organizational Agility, Resilience, and Reinvention – 2nd Edition, Kanban University Press, 2021
Ho pubblicato originariamente questo articolo per il portale Kanban Help, al quale collaboro insieme al collega Luca Gambetti. Visita Kanban Help – www.kanban.help – per conoscere gli strumenti formativi e di coaching che ti possono aiutare a introdurre il metodo Kanban nella tua azienda.
Una riflessione che mi accompagna spesso in questo periodo — e che viene sollecitata anche dalle organizzazioni che seguo come consulente — riguarda l’utilizzo dell’intelligenza artificiale in combinazione con il metodo Kanban.
Qualche giorno fa, durante una presentazione introduttiva sul metodo Kanban a un gruppo di potenziali interessati, mi sono trovato di fronte a una persona che, con grande entusiasmo, raccontava di aver ottenuto risultati straordinari di efficientamento nella propria organizzazione grazie all’uso dell’AI.
Questo episodio mi ha riportato alla mente un’interessante analisi contenuta in un recente articolo di Klaus Leopold, che potete leggere qui. Leopold si concentra sul suo modello dei Flight Levels, ma osservazioni analoghe possono essere fatte anche alla luce del Kanban Maturity Model (KMM).
Sta emergendo infatti un paradosso notevole: l’intelligenza artificiale (AI) rende le persone sempre più efficienti nei propri compiti, ma allo stesso tempo sembra spingere le organizzazioni indietro, fino a ML0 (Inconsapevole – Oblivious).
La regressione a ML0: l’ottimizzazione individuale
Storicamente, le organizzazioni di servizi professionali erano fortemente orientate alla performance individuale. Con lo sviluppo del pensiero organizzativo si è compiuto un passo avanti significativo, spostando progressivamente l’attenzione dall’individuo al team e, successivamente, al sistema nel suo insieme.
Oggi, tuttavia, l’uso prevalente dell’intelligenza artificiale sembra riportarci a un livello di focalizzazione più elementare: l’ottimizzazione delle prestazioni individuali, attraverso strumenti come assistenti di scrittura o applicazioni per la generazione e il riassunto di testi.
Questo tipo di applicazione dell’AI si allinea perfettamente alle caratteristiche di organizzazioni a ML0. A questo livello:
Focus su sé stessi e raggiungimento dei risultati: l’organizzazione si presenta come un insieme di individui poco coesi, ciascuno concentrato sui propri obiettivi. Il valore culturale dominante è l’Achievement, ovvero il raggiungimento dei risultati personali. L’intelligenza artificiale finisce per rafforzare questo orientamento, offrendo a ciascuno la possibilità di autocelebrarsi quotidianamente con pensieri del tipo: “Guarda quanto sono produttivo”.
Pratiche individualistiche: le pratiche organizzative si focalizzano principalmente sul completamento dei singoli compiti (“getting things done”). Quando presente, l’uso delle Kanban board avviene a livello individuale (VZ 0.1). L’intelligenza artificiale non modifica sostanzialmente questo approccio: si limita a rendere più rapidi i processi — scrivere più velocemente, codificare più velocemente, fare tutto più velocemente — aumentando così l’efficienza dell’individuo, ma non quella del sistema.
Qualità dipendente dall’eroe di turno: la qualità e la coerenza del lavoro dipendono interamente dalle competenze, dall’esperienza e dal giudizio dei singoli. Ne risulta un’organizzazione estremamente fragile, in cui ogni cambiamento di personale può compromettere significativamente la stabilità operativa.
L’illusione di produttività: sub-ottimizzazione complessiva
La promessa di ridurre il lavoro “da due ore a 20 minuti” o ottenere un “risparmio di tempo del 75% nelle presentazioni” crea una potente illusione di produttività. In realtà, questo progresso è solo apparente.
Quando l’intelligenza artificiale viene impiegata per velocizzare singole attività in modo isolato, senza un coordinamento sistemico, si producono effetti paradossali:
L’AI produce riassunti perfetti delle riunioni, ma nessuno legge il riassunto.
L’AI crea automaticamente la richiesta di ferie, ma l’approvazione resta bloccata per tre settimane sulla scrivania del capo.
L’AI crea 25 versioni di uno slogan e il team marketing finisce per impiegare il doppio del tempo per sceglierne uno.
Visto da una prospettiva di pensiero sistemico (system thinking), tutto questo si traduce semplicemente in tempo sprecato più velocemente. Ottimizzare un singolo passaggio — come premere il tasto “A” due volte più rapidamente — non rende più veloce la scrittura se il sistema complessivo resta invariato.
Allo stesso modo, se tutti i membri di un’organizzazione diventano “supereroi dell’AI” e svolgono le proprie mansioni individuali in meno tempo, il risultato non è una consegna più rapida di valore al cliente. Al contrario: il lavoro tende ad accumularsi nel collo di bottiglia successivo.
Un aumento della velocità in ingresso nel sistema non accelera la velocità in uscita: genera invece più lavoro in corso (Work in Progress – WIP), più rilavorazioni e più caos. È il risultato tipico della ottimizzazione locale, che porta inevitabilmente a una sub-ottimizzazione del sistema complessivo.
La via d’uscita da ML0: il pensiero sistemico
Per sfuggire alle tipiche logiche da organizzazione poco strutturata, è necessario superare la mentalità individualistica e adottare un autentico pensiero sistemico.
Passaggio a ML1 (Team-Focused): a questo livello si inizia a riconoscere l’identità dei team, a sviluppare la collaborazione e a incoraggiare l’iniziativa collettiva. L’introduzione di limiti al Work in Progress (WIP) per persona (LW 0.1) o per team (LW 1.1) contribuisce a ridurre il muri (sovraccarico), creando le basi per un flusso di lavoro più sostenibile.
Passaggio a ML2 (Customer-Driven): l’attenzione si sposta progressivamente sul cliente. La cultura organizzativa evolve dall’esecuzione dei compiti alla gestione del flusso. Si inizia a comprendere il lavoro come un servizio erogato al cliente, piuttosto che come una somma di attività interne. In questa fase, la mancanza di pensiero sistemico rappresenta il principale ostacolo al raggiungimento di ML2.
Passaggio a ML3 (Fit-for-Purpose): l’organizzazione raggiunge un grado più elevato di unità e allineamento, sviluppando un senso di scopo condiviso. Il servizio viene erogato in modo coerente con le aspettative del cliente e il sistema diventa realmente fit-for-purpose (idoneo allo scopo). In questo stadio, l’ottimizzazione non riguarda più il singolo o il team, ma l’intero flusso di valore end-to-end.
L’ottimizzazione che avviene nel passaggio da ML0 a ML1 rappresenta un progresso significativo per i membri dell’organizzazione, ma il funzionamento complessivo del servizio resta comunque unfit-for-purpose (non idoneo allo scopo) dal punto di vista del cliente. Per creare reale valore, è necessario evolvere verso ML3.
Il vero potenziale dell’AI per la crescita di maturità delle organizzazioni
Il vero valore e l’impatto organizzativo emergono solo quando l’intelligenza artificiale viene applicata ai livelli di gestione del flusso e della strategia (ML2, ML3 e ML4). Le organizzazioni hanno bisogno di approcci che favoriscano l’evoluzione dell’intero sistema, non solo l’efficienza delle singole parti.
Nella tabella seguente sono riportate alcune indicazioni e possibili applicazioni dell’AI, suddivise per livello di maturità:
Livello KMM
Obiettivo Organizzativo
Impiego dell’AI
ML2 (Customer-Driven)
Coordinamento e flusso: far fluire il lavoro tra team.
L’AI analizza le capacità interfunzionali e identifica le dipendenze e i conflitti tra gli obiettivi dei diversi dipartimenti.
ML3 (Fit-for-Purpose)
Allineamento e scopo: soddisfare in modo sostenibile le aspettative del cliente.
L’AI può segnalare quando le azioni intraprese non sono allineate con la strategia o con lo scopo del servizio.
ML4 (Risk-Hedged)
Rischio e sostenibilità economica: robustezza e bilanciamento degli interessi degli stakeholder.
L’AI è in grado di simulare scenari — ad esempio l’impatto di spostare il 30% del budget — analizzare il portfolio in termini di valore generato e fornire valutazioni sui possibili rischi. ML4 richiede anche una solida alfabetizzazione matematica, fondamentale per l’uso efficace di modelli predittivi e simulazioni Monte Carlo.
Mentre l’ottimizzazione individuale resa possibile dall’AI può semplificare le attività quotidiane, il suo impatto a livello sistemico resta nullo quando il lavoro deve attraversare più unità organizzative, richiedendo coordinamento e approvazioni.
Per raggiungere livelli evoluti di agilità e resilienza (ML3, ML4 e oltre), è necessario spostare l’attenzione dall’AI come strumento per creare “supereroi individuali” all’AI come leva per costruire sistemi robusti, integrati e allineati. Questi sistemi, tuttavia, iniziano a prendere forma solo a partire da ML2 e ML3.
Fino ad allora, l’ottimizzazione tipica di ML0 — per quanto utile e pratica — non è in grado di produrre effetti significativi sull’efficacia complessiva dell’organizzazione.
Ho pubblicato originariamente questo articolo per il portale Kanban Help, al quale collaboro insieme al collega Luca Gambetti. Visita Kanban Help – www.kanban.help – per conoscere gli strumenti formativi e di coaching che ti possono aiutare a introdurre il metodo Kanban nella tua azienda.
Nel dinamico mondo delle risorse umane, in particolare all’interno delle grandi organizzazioni, la gestione di processi complessi come l’inserimento e il reclutamento del personale può rapidamente diventare una sfida significativa. Questo articolo approfondisce un esperimento trasformativo condotto all’interno del reparto risorse umane di una cooperativa sociale italiana di 3.000 persone. L’innovazione principale è stata l’applicazione del data mining per rivelare e analizzare la realtà dei flussi di lavoro operativi, un approccio che si è rivelato cruciale in un ambiente che faticava a mantenere prevedibilità ed efficienza. Nonostante la disponibilità di sistemi informativi legacy, il loro sottoutilizzo e l’affidamento a processi manuali, come l’uso di file Excel per le assunzioni di massa, rendevano molto difficile ottenere una comprensione chiara o fornire previsioni affidabili all’azienda.
La situazione iniziale: imprevedibilità e sovraccarico manuale
L’organizzazione, che partecipa spesso a gare d’appalto pubbliche, era sottoposta a forti pressioni per l’ingresso e l’uscita rapida di un gran numero di dipendenti. Ciò ha portato a una situazione in cui i flussi di lavoro del reparto risorse umane erano difficili da gestire e i sistemi informativi legacy venivano utilizzati solo in parte. Ad esempio, i file Excel manuali erano la norma per le assunzioni di massa.
I primi sforzi si sono concentrati sull’ottenimento del controllo:
Mappatura del flusso di lavoro: il primo passo ha comportato la mappatura visiva dei flussi di lavoro HR esistenti con modalità “low tech, high touch”.
Misurazione manuale: sono state identificate le fasi chiave per la misurazione e i dati sono stati raccolti manualmente in un file Excel. I campioni iniziali hanno rivelato che i tempi di onboarding variavano notevolmente da 1 a 96 giorni, senza uno schema riconoscibile. Ciò rendeva impossibile per l’HR fornire promesse di consegna affidabili all’azienda.
Identificazione dei colli di bottiglia: l’analisi dei dati ha rapidamente individuato la fase di firma del contratto come uno dei principali colli di bottiglia, che rispecchiava il comportamento generale del processo. Questa fase, che prevedeva firme digitali remote, è stata notevolmente migliorata affrontando le questioni sottostanti.
Prevedibilità migliorata: dopo aver risolto il collo di bottiglia, la prevedibilità è migliorata in modo significativo, con oltre il 91% degli onboarding completati entro otto giorni.
Evoluzione con Kanban: per far maturare ulteriormente il sistema, il team ha adottato una Kanban board elettronica, per poter implementare più pratiche Kanban e raccogliere automaticamente le metriche. Lo stesso approccio è stato esteso con successo anche al flusso di lavoro del recruiting.
Tuttavia, nonostante i miglioramenti, rimaneva una sfida non risolta: il reparto continuava a raccogliere dati a campione anziché in modo costante. Era riluttante ad adottare pienamente il nuovo strumento Kanban a causa del percepito sovraccarico aggiuntivo derivante dall’utilizzo di un nuovo strumento insieme ai sistemi legacy esistenti.
Il problema principale: un labirinto di sistemi eterogenei
Le operazioni del reparto HR erano distribuite su una serie di sistemi legacy notevolmente eterogenei e disparati. Questi includevano:
Un file Excel alimentato da una form di Microsoft Form.
Un’applicazione di recruiting dedicata.
Un’applicazione di onboarding.
Un’applicazione HR per le paghe.
Un sistema informativo regionale per l’impiego esterno (cruciale per la conformità legale e la definition of done).
Sebbene alcuni sistemi disponessero di integrazioni batch notturne, non esisteva una visione unificata dell’intero flusso di lavoro end-to-end. Cercare di raccogliere manualmente dati completi da questi sistemi era difficile, poiché ogni sistema esportava i dati in modo diverso.
L’esperimento: un data lake in soccorso
Riconoscendo la necessità di una misurazione completa e continua, è stato avviato un esperimento utilizzando Algorilla, una piattaforma di knowledge discovery. Questa piattaforma, originariamente sviluppata per consentire ai responsabili IT di ottenere il controllo sulle architetture IT aziendali, ha fornito un prezioso suggerimento: nei log e nei timestamp dei sistemi legacy esisteva già una “miniera d’oro di dati” che poteva essere sfruttata per evolvere il sistema Kanban.
Algorilla funziona come un sistema di data lake, in grado di raccogliere dati da fonti eterogenee, combinarle in un formato analizzabile e visualizzarle su dashboard. La premessa era semplice ma rivoluzionaria: se il sistema fosse stato in grado di rivelare in tempo reale ciò che stava realmente accadendo all’interno di infrastrutture IT complesse, avrebbe potuto fare lo stesso per i processi di business.
La verifica di questo concetto ha comportato l’inserimento dei dati provenienti da tutti e cinque i diversi sistemi HR in Algorilla. La piattaforma è stata progettata per:
Acquisire dati da vari formati, inclusi file Excel, esportazioni da database e persino ricevute in formato PDF.
Combinare e analizzare questi diversi dati per ricostruire il flusso di lavoro reale.
In futuro, gli agenti automatizzati potranno raccogliere direttamente i dati dai database senza esportazioni manuali.
Il disvelarsi della realtà: risultati chiave
L’implementazione ha fornito chiarezza e comprensione senza precedenti:
Analisi completa dei dati: per la prima volta, il reparto HR ha potuto analizzare tutti i dati storici, non solo alcuni campioni, ottenendo un quadro accurato dell’effettivo funzionamento dei flussi di lavoro.
Visibilità end-to-end: la piattaforma ha consentito l’analisi dell’intero flusso di lavoro, dal recruiting all’onboarding, oltre a fornire informazioni dettagliate sulle singole fasi del processo.
Monitoraggio in tempo reale: i flussi di lavoro sono stati visualizzati con contatori in tempo reale del lavoro in corso (WIP) per ogni fase e durata media delle fasi. Le dashboard includevano le metriche Kanban tipiche, come il produttività, la distribuzione dei tempi di consegna e i diagrammi di flusso cumulativi.
Rilevamento delle anomalie: il sistema ha aiutato a identificare valori anomali e situazioni insolite, come quella soprannominata “l’assunzione di Speedy Gonzales”, completata in pochi minuti, suggerendo l’inserimento a posteriori dei dati per recuperare gli aggiornamenti di sistema che erano rimasti indietro.
Correzione del flusso di lavoro: l’analisi dei dati ha persino corretto le interpretazioni errate del flusso di lavoro stesso. Ad esempio, i dati hanno rivelato che la registrazione nel sistema paghe avveniva prima della registrazione nel sistema regionale, una sequenza che in precedenza non era completamente chiara.
Una svolta per le organizzazioni vincolate da sistemi legacy
Questo approccio può rivelarsi particolarmente prezioso per le organizzazioni che si affidano a sistemi legacy. Consente loro di analizzare e migliorare i propri processi senza incorrere nei costi aggiuntivi associati alla manutenzione di uno strumento Kanban separato. Poiché funziona con i dati esistenti, è perfettamente in linea con il principio “inizia con quello che fai oggi”.
I miglioramenti futuri previsti per la piattaforma includono la possibilità di visualizzare le policy e l’efficienza di flusso sulla dashboard, nonché l’opzione di impostare avvisi per le violazioni dei limiti al lavoro in corso (WIP). Ciò consentirà di integrare ulteriormente le pratiche Kanban e alle organizzazioni di ottimizzare le loro operazioni.
In sostanza, l’esperimento ha dimostrato che, raccogliendo e analizzando strategicamente i dati esistenti provenienti da sistemi legacy disparati, le organizzazioni possono scoprire la vera realtà dei loro flussi di lavoro, identificare le inefficienze nascoste e prendere decisioni basate sui dati. Possono quindi sfruttare tali informazioni per accelerare lo sviluppo evolutivo del loro sistema Kanban e ottenere miglioramenti significativi del flusso di lavoro in un arco di tempo più breve.
Da oltre un decennio ho il privilegio di affiancare individui e team in numerose organizzazioni, aiutandoli con l’ausilio di una pratica che ho chiamato Personal Capacity Planning e, più recentemente, Personal & Team Capacity Planning. Si tratta di un metodo che, secondo la mia esperienza empirica, aumenta la produttività e offre un maggiore senso di controllo sul modo in cui i team gestiscono il proprio lavoro. Questo percorso, dalle sue origini alla sua applicazione odierna, si è profondamente intrecciato con i principi e le pratiche del metodo Kanban.
L’origine di un’idea: supportare l’implementazione di Lean
I miei primi passi in quello che sarebbe poi diventato il Personal & Team Capacity Planning risalgono al 2009-2010, quando applicavo Lean come Delivery Manager in un’azienda tecnologica. All’epoca non era una pratica formalizzata con un nome; ho semplicemente iniziato a fare pianificazione delle capacità personali su un foglio di carta. Era un approccio pragmatico ed empirico, inizialmente poco più che un esercizio per comprendere l’utilizzo del tempo personale e far sì che i miei team prendessero coscienza del fatto che le loro capacità personali erano limitate.
Man mano che la mia conoscenza di Kanban cresceva, cresceva anche la pratica. Si è evoluta in modo specifico per aiutare a definire i limiti al lavoro in corso (WIP). Questo è stato un passo fondamentale, riconoscendo che la necessità di limiti al WIP deriva direttamente dalla capacità produttiva limitata di un team, che a sua volta è vincolata dalla capacità limitata di ogni singolo membro. Il mio secondo articolo ha approfondito come il Personal Capacity Planning aiuti a definire questi limiti fondamentali.
Mi ha ispirato anche lo scambio di idee con Susanne Bartel di Flow Hamburg su questo argomento, così come una presentazione che ha tenuto all’Agile & Kanban Coaching Exchange. Questa presentazione mi ha fatto conoscere il Token System, un concetto che ora ho integrato pienamente nella mia pratica.
Il panorama attuale: token di capacità e bilanciamento dei flussi
Oggi ritengo che questa pratica sia fondamentale per supportare i team consolidati che lavorano su due o più flussi di lavoro. Una sfida comune per tali organizzazioni, in particolare quando iniziano a utilizzare Kanban, è l’allocazione delle risorse tra i vari flussi di lavoro.
L’implementazione di Kanban può essere sfidante per i team che lavorano su più flussi di lavoro, soprattutto se questi flussi differiscono in modo significativo o sono vincolati da sistemi legacy separati. Sebbene spesso vi sia il desiderio di integrare i flussi, ciò è raramente fattibile praticamente a causa delle diverse esigenze operative o degli strumenti incompatibili. I team fanno anche resistenza all’adozione di nuovi sistemi, come le Kanban board, percependoli come un ulteriore onere di gestione. Una strategia più pragmatica consiste nell’integrare i principi e le pratiche Kanban direttamente nell’infrastruttura di flusso di lavoro esistente, trasformando efficacemente i sistemi attuali in ambienti compatibili con Kanban senza la necessità di piattaforme completamente nuove.
Nel prossimo capitolo approfondirò queste idee, concentrandomi sull’applicazione pratica del metodo Kanban all’interno di organizzazioni che già gestiscono più flussi di lavoro. Descriverò come aiuto questi team ad allocare le risorse in modo più efficace. Il processo inizia con la mappatura di una “settimana tipica ipotetica”, prima a livello individuale, poi aggregata per team. Le fasce orarie vengono convertite in “token di capacità”, che vengono poi distribuiti tra i vari flussi di lavoro. Questo metodo aiuta a bilanciare i carichi di lavoro e a ottimizzare l’uso delle risorse. In definitiva, l’obiettivo è quello di stabilizzare il sistema complessivo applicando limiti al WIP dei singoli flussi e bilanciando la capacità tra di essi, garantendo una distribuzione del lavoro più efficiente e armoniosa.
L’implementazione pratica: il Personal & Team Capacity Planning all’opera
Ecco come funziona in pratica il Personal & Team Capacity Planning:
Immaginare la settimana: chiedo ai team di immaginare la loro settimana tipo teorica, proprio come descritto nei miei articoli precedenti. Ciò comporta che ogni membro annoti una stima della propria capacità settimanale, quasi come una previsione di programma suddivisa in slot orari. È fondamentale sottolineare che non si tratta di un programma, ma di uno strumento per riflettere su come utilizzano il proprio tempo e per riconoscere i limiti fisici della propria capacità.
Dagli slot ai token di capacità: una volta che ogni membro del team ha ipotizzato i propri slot, viene calcolata la capacità totale del team e trasformata in token di capacità. È importante stabilire una connessione tra gli slot individuali e i token collettivi del team per sottolineare che ogni individuo contribuisce al team e che ciò che conta è la capacità collettiva del team.
Allocazione strategica e limiti al WIP: durante le cadenze Kanban, riflettiamo collettivamente su come assegnare questi token di capacità ai vari flussi di lavoro. In base alla capacità assegnata a ciascun flusso, definiamo quindi i rispettivi limiti al WIP. L’obiettivo è quello di bilanciare i flussi, evitando situazioni in cui alcuni flussi hanno una capacità eccessiva mentre altri ne hanno troppo poca. Se osserviamo un flusso sottoperformante mentre altri eccellono, possiamo riequilibrare visivamente spostando la capacità. Questo spostamento segnala intuitivamente la necessità di adeguare i limiti al WIP per limitare i flussi con risorse in eccesso e dare spazio a quelli che necessitano di maggiore capacità. Si tratta di un equilibrio empirico in cui i limiti al WIP non solo stabilizzano il flusso, ma svolgono anche un duplice ruolo nell’assegnazione della capacità tra flussi paralleli, rendendo così l’intero sistema più stabile e affidabile.
La pratica attraverso i livelli del Kanban Maturity Model
Tipicamente introduco la pratica di Personal & Team Capacity Planning quando analizzo la capacità produttiva attuale all’interno di STATIK (System Thinking Approach to Implementing Kanban). Retrospettivamente, ho visto questa pratica evolversi in modo significativo attraverso diversi livelli di maturità all’interno di un’organizzazione, come definito dal Kanban Maturity Model (KMM).
A livello di maturità zero (ML0), quando l’organizzazione è assente e gli individui operano in modo indipendente, questa pratica serve ad aiutare le persone a comprendere il proprio lavoro. L’obiettivo è incoraggiare il passaggio da un approccio individualistico a uno in cui gli individui iniziano a lavorare in squadra a ML1. Per facilitare questa transizione, ogni membro del team identifica i propri token di capacità personali e il modo in cui li assegna. Ciò consente una discussione collettiva tra i membri del team per ridistribuire questi token, ora considerati come capacità complessiva del team, su un flusso di lavoro unificato.
Passando da ML1 a ML2, questa pratica sposta il proprio focus sul cliente. Il team decide collettivamente come allocare i propri token tra le attività e i flussi di lavoro per migliorare il servizio ai clienti. Ciò è particolarmente importante quando si ha a che fare con flussi di lavoro diversi difficili da unificare, poiché questi possono causare problemi e spingere le persone a tornare a gestire i sistemi individualmente o in silos. L’obiettivo in questa fase è gestire i sistemi in modo unificato, il che è fondamentale affinché un team possa passare da ML1 a ML2.
Lo stesso approccio si applica alla transizione da ML2 a ML3, anche se possono essere coinvolti team di lavoro diversi. Sebbene non sia sempre necessario, il riequilibrio dei carichi di lavoro all’interno di un team può comunque essere vantaggioso. A ML3, l’attenzione è rivolta all’allineamento dei flussi di lavoro in un sistema di servizi complessivo. Ciò può comportare la riallocazione delle risorse trasferendo i token dal flusso di lavoro di un team a quello di un altro, a condizione che ciò contribuisca al riequilibrio complessivo di tutti i flussi.
Infine, una volta che il sistema ha raggiunto ML3 ed è bilanciato su tutto il servizio, l’attenzione si sposta sulla gestione della variabilità della domanda e sulla copertura dei rischi per raggiungere ML4. Ciò comporta la possibilità di aggiungere token, ovvero di riservare una capacità che in realtà non esiste, ma che viene utilizzata nei periodi di picco. Ad esempio, durante i picchi stagionali (come settembre e giugno per un reparto risorse umane che sto seguendo), vengono utilizzate risorse aggiuntive (ad esempio, dipendenti part-time di altri reparti disposti a lavorare ore extra) come “team di riservisti”. Queste persone aggiuntive corrispondono ai token extra resi disponibili quando necessario. Questo concetto è integrato e ampliato nella pratica dell’utilizzo di classi di prenotazione in un sistema di prenotazione dinamico (MF 4.6), e consente la prenotazione di capacità non ancora disponibile.
Questo crea un continuum di sistemi di gestione della capacità, da ML0 a ML4 e oltre.
Affrontare realtà complesse: flussi di lavoro multipli e sistemi legacy
Il presupposto fondamentale di questo approccio è che i team lavorino tipicamente su più flussi di lavoro. Sebbene in alcune situazioni sia possibile gestire un singolo team con diversi tipi di attività all’interno di un unico flusso, spesso ciò non è fattibile. Questi flussi possono essere intrinsecamente diversi, con fasi e dinamiche uniche, oppure possono essere legati a sistemi di flusso di lavoro legacy disparati. In questi casi, è comune fare resistenza all’introduzione di nuove Kanban board perché i dati sono già presenti nei sistemi esistenti. La mia strategia consiste nello sfruttare questi sistemi esistenti e trasformarli in un sistema Kanban, in linea con il principio Kanban di “inizia con quello che fai oggi”.
I tre passi per ottenere un team maggiormente in controllo
Il metodo è fortemente empirico e pragmatico, pensato per evitare stime dispendiose in termini di tempo o pianificazioni rigide.
Primo passo: cercare modelli settimanali. Anziché fare previsioni, analizziamo ciò che è stato fatto in media nelle ultime settimane o semplicemente monitoriamo le attività per due o tre settimane. Questo rivela come vengono distribuiti tipicamente i carichi di lavoro. Anche nelle organizzazioni meno mature (da ML0 a ML2), è affascinante vedere come emergano modelli sensati, come se le persone creassero istintivamente routine prevedibili per compensare le incongruenze. Questo rimane valido anche a livelli di maturità più avanzati.
Secondo passo: adeguare i modelli per evolvere il flusso di lavoro. Questa tendenza istintiva può essere utilizzata per stabilizzare ed evolvere i flussi di lavoro. Ho osservato che assegnare token di capacità ai flussi di lavoro e assicurarsi che il team ne comprenda l’importanza contribuisce a stabilizzare il comportamento individuale e, di conseguenza, il sistema. Combinando questo approccio con altre pratiche Kanban, come la visualizzazione del lavoro, la raccolta di metriche e l’identificazione dei miglioramenti, i team sono in grado di adeguare collettivamente i modelli di capacità e migliorare i flussi di lavoro. Le cadenze Kanban, come il Team Kanban Meeting e la Service Delivery Review, forniscono un’occasione per discutere e condividere esperimenti sicuri per la regolazione dei modelli di capacità. Ciò porta a flussi di lavoro stabilizzati e ottimizzati nel tempo.
La reazione iniziale all’introduzione di questa pratica è spesso il sospetto, la sensazione che io voglia “ingabbiare” e controllare il team. Tuttavia, con il passare del tempo, i team scoprono inevitabilmente che è esattamente il contrario: si tratta di un metodo gestito in modo autonomo che favorisce la stabilità e la prevedibilità nel loro sistema di lavoro, indipendentemente dalle pressioni esterne.
Una maggiore stabilità e prevedibilità consentono ai singoli individui e ai team di acquisire un controllo sempre maggiore sui livelli di servizio offerti ai propri clienti. Non si tratta di una limitazione, ma di un miglioramento del controllo. Allevia la pressione esterna e consente ai team di padroneggiare davvero i propri flussi di lavoro. Questo concetto controintuitivo trova la sua vera applicazione solo quando viene sperimentato, poiché si integra perfettamente con il metodo Kanban e i suoi principi fondamentali.
Ho già introdotto in un precedente articolo la pratica del Personal Capacity Planning, potete leggere il mio precedente articolo qui. In questo articolo spiego meglio come funziona, come ottenere una visione aggregata della capacità del team e come utilizzarla per definire i limiti WIP dei flussi di lavoro.
La pratica della Personal Capacity Planning aiuta i singoli individui e il team nel suo insieme a riflettere sul fatto che il flusso di lavoro necessita di limiti WIP perché la capacità produttiva del team è limitata, e questo perché la capacità di ciascun membro del team è limitata. Questa è la realtà.
Esempio di capacità di team calcolata sulla base della capacità personale
Quindi inizio al contrario, chiedendo a ciascun membro del team di annotare una stima della propria capacità settimanale, come se fosse una previsione di programma suddivisa in slot. In genere mi chiedono se si tratta di un programma che devono seguire e io rispondo invariabilmente che no, non è un programma, ma serve solo a riflettere su come utilizzano il loro tempo e, cosa più importante, a rendersi conto che, se non tengono conto dei limiti fisici del tempo che possono effettivamente dedicare al flusso di lavoro (o ai diversi flussi di lavoro in cui sono coinvolti), l’analisi delle capacità del sistema che effettuano, ad esempio in STATIK, si rivela un puro e semplice esercizio teorico.
Chiedo quindi loro di aggregare le previsioni di capacità settimanali individuali in una previsione di capacità settimanale del team e di iniziare a immaginare come suddividere tale capacità tra i diversi flussi di lavoro. L’ultimo passo è immaginare quali limiti devono porre a ciascun flusso di lavoro WIP in base alla capacità assegnata allo stesso flusso di lavoro, perché devono sopravvivere e non vogliono lavorare straordinariamente ogni settimana, giusto? Questo può essere fatto nell’ambito di una retrospettiva di team o di una Flow Review e il risultato è simile a quello mostrato nella figura (esempio di un team IT).
Nella mia esperienza, questa pratica ha sbloccato l’uso dei limiti WIP e, dopo un po’ che lo utilizzano, le persone sono contente della sua introduzione – e ci ritroviamo ad avere limiti al WIP e flussi stabili.
A un livello di maturità più elevato, la sto ancora utilizzando nelle Service Delivery Review per aiutare i team a riflettere su come bilanciare e riequilibrare i flussi di lavoro regolando i limiti al WIP, nonché per supportare pratiche più avanzate come i sistemi di prenotazione dinamica della capacità, le simulazioni di forecast e i forecast. È importante, tra l’altro, continuare a ricordare al team e sottolineare che non si tratta di un programma, ma che il suo scopo è quello di essere un mezzo per riflettere sulla capacità effettiva del sistema di flusso di lavoro al fine di impostare limiti al WIP corretti.
In the dynamic world of Human Resources, particularly within large organisations, managing complex processes like onboarding and recruiting can quickly become a significant challenge. This article delves into a transformative experiment conducted within the HR department of a 3,000-person social cooperative in Italy. The core innovation was the application of data mining to reveal and analyse the reality of operational workflows, an approach that proved crucial in an environment struggling to maintain predictability and efficiency. Despite the availability of legacy information systems, their underutilization and a reliance on manual processes—such as using Excel files for bulk onboardings—made it very difficult to gain a clear understanding or provide reliable delivery predictions to the business.
The initial landscape: unpredictability and manual overload
The organisation, which is frequently involved in public tenders, was under great pressure to onboard and offboard large numbers of employees quickly. This led to a situation where the HR department’s workflows were difficult to manage and legacy information systems were only partially utilised. For example, manual Excel files were the norm for bulk onboarding.
Early efforts focused on gaining control:
Workflow mapping: the first step involved visually mapping the existing HR workflows in a “low tech, high touch” manner.
Manual measurement: key steps were identified for measurement, and data was manually collected in an Excel file. Initial samples revealed that onboarding lead times scattered wildly from 1 to 96 days, with no discernible pattern. This made it impossible for HR to provide reliable delivery promises to the business.
Bottleneck identification: analysis of data quickly pointed to the contract signature step as a major bottleneck, mirroring the overall process’s pattern. This step, involving remote digital signatures, was dramatically improved by addressing underlying issues.
Improved predictability: after fixing the bottleneck, predictability significantly improved, with over 91% of onboardings delivered within eight days.
Evolving with Kanban: to further mature the system, the team adopted an electronic Kanban board, to be able to implement more Kanban practices and automatically collect metrics. The same approach was also successfully extended to the Recruiting workflow.
Nevertheless, despite the improvements, a persistent challenge remained: the department continued to collect data on a sample basis rather than constantly. They were reluctant to fully adopt the new Kanban tool due to the perceived additional overhead of using a new tool alongside their existing legacy systems.
The core problem: a labyrinth of disparate systems
The HR department’s operations were spread across a highly heterogeneous and scattered set of legacy systems. These included:
A Microsoft Form feeding into an Excel file.
A dedicated recruiting application.
An onboarding application.
An HR payroll application.
An external regional employment information system (crucial for legal compliance and the definition of done).
While some systems had overnight batch integrations, there was no unified view of the entire end-to-end workflow. Attempting to collect comprehensive data manually from these systems was a difficult, as each system exported data differently.
The experiment: a data lake to the rescue
Recognizing the need for comprehensive, continuous measurement, an experiment was launched using Algorilla, a knowledge discovery platform. This platform, originally developed to enable IT executives to gain control over corporate IT architectures, triggered a valuable insight: a ‘gold mine of data’ already existed within the logs and timestamps of the legacy systems that could be exploited to evolve the Kanban system.
Algorilla functions as a data lake system, capable of collecting heterogeneous data sources, combining them into an analyzable format and displaying them on dashboards. The premise was simple yet revolutionary: if the system could reveal in real time what was truly happening within complex IT infrastructures, it could do the same for business processes.
The proof of concept involved feeding data from all five disparate HR systems into Algorilla. The platform was designed to:
Ingest data from various formats, including Excel files, database exports, and even PDF receipts.
Combine and analyze these diverse data points to reconstruct the real workflow.
In the future, automated agents could directly collect data from databases without manual exports.
Revealing the reality: key outcomes
The implementation delivered unprecedented clarity and insights:
Comprehensive data analysis: for the first time, the HR department could analyze all historical data, not just samples, providing an accurate picture of how workflows were really working.
End-to-end visibility: the platform enabled analysis of the entire recruiting-to-onboarding workflow, as well as detailed insights into individual process steps.
Real-time monitoring: workflows were visualized with real-time Work-In-Progress (WIP) counts per step and average step durations. Dashboards included the typical Kanban metrics such as Throughput, Lead Time Distribution and Cumulative Flow Diagrams.
Anomaly detection: the system helped identify outliers and unusual situations, such as what was nicknamed Speedy Gonzales’ hire, which was completed in minutes, suggesting retrospective data entry to catch up with forgotten system updates.
Workflow correction: data analysis even corrected misinterpretations of the workflow itself. For example, the data revealed that payroll registration occurred before regional system registration, a sequence previously not fully understood.
A game changer for organisations bound by legacy systems
This approach can prove particularly valuable for organisations that rely on legacy systems. It enables them to analyse and enhance their processes without incurring the additional overhead associated with maintaining a separate Kanban system tool. As it works with existing data, it is perfectly aligned with the principle of ‘start with what you do now‘.
Planned future enhancements to the platform include the ability to display policies and flow efficiency on the dashboard, as well as the option to set up alerts for infringements of WIP limits. This will further embed Kanban practices and empower organisations to optimise their operations.
In essence, the experiment demonstrated that by strategically collecting and analyzing existing data from disparate legacy systems, organisations can uncover the true reality of their workflows, identify hidden inefficiencies, and make data-driven decisions. They can then leverage such information to expedite the evolutionary development of their Kanban system to achieve significant workflow improvements in a shorter timeframe.
For over a decade now, I’ve had the privilege of coaching individuals and teams in numerous organizations, guiding them through a practice I’ve come to call Personal Capacity Planning – and more recently Personal & Team Capacity Planning. It’s a method that in my empirical experience boosts productivity and brings an increased sense of control to how teams manage their work. This journey, from its beginnings to its application today, has become deeply intertwined with the principles and practices of the Kanban method.
The seed of an idea: supporting the implementation of Lean
My first steps into what would become Personal & Team Capacity Planning date back to 2009-2010, when I was applying Lean as a Delivery Manager at a technology company. Back then, it wasn’t a formalized practice with a name; I simply started doing personal capacity planning on a sheet of paper. It was a pragmatic, empirical approach, initially not much more than an exercise in understanding personal time usage and get my teams to become aware of the actual fact that their personal capacity was limited.
As my knowledge of Kanban grew, so did the practice. It evolved specifically to help define Work In Progress (WIP) limits. This was a crucial leap, recognizing that the need for WIP limits stems directly from the limited production capacity of a team, which in turn is constrained by the limited capacity of each individual member. My second article delved into how Personal Capacity Planning aids in defining these crucial limits.
I have also been inspired by the exchange of ideas with Susanne Bartel of Flow Hamburg on this topic, as well as by a presentation that she gave at the Agile & Kanban Coaching Exchange. This presentation made me aware of the capacity Token System, a concept that I have now fully integrated into my practice.
The current landscape: capacity tokens and flow balancing
Today, I find this practice instrumental in supporting established teams working across two or more workflows. A common challenge for such organisations, particularly when starting with Kanban, is allocating resources across their various workstreams.
Implementing Kanban can be challenging for teams working on multiple workflows, especially if these workflows differ significantly or are constrained by separate legacy systems. Although there is often a desire to integrate flows, this is rarely practical due to differing operational needs or incompatible tools. Teams may also resist adopting new systems, like Kanban boards, perceiving them as an added reporting burden. A more pragmatic strategy is to embed Kanban principles and practices directly into the existing workflow infrastructure, effectively transforming current systems into Kanban-compatible environments without the need for entirely new platforms.
In the next chapter, I will delve deeper into these ideas, focusing on the practical application of Kanban within organisations already managing multiple workflows. I’ll describe how I support these teams in allocating resources more effectively. The process begins by mapping out a ‘hypothetical typical week’—first at the individual level, then aggregated by team. Time slots are converted into ‘capacity tokens’, which are then distributed across the various workflows. This method helps balance workloads and optimise the use of resources. Ultimately, the aim is to stabilise the overall system by applying WIP limits to individual flows and managing capacity across them, ensuring a more efficient and harmonious distribution of work.
The practical implementation: Personal & Team Capacity Planning at work
This is how Personal & Team Capacity Planning works in practice:
Imagining the week: I ask teams to envision their typical theoretical week, much like the descriptions in my earlier articles. This involves each member jotting down a guess of their weekly capacity, almost like a schedule forecast divided into slots. Crucially, I always emphasize that it’s not a schedule, but a tool for reflection on how they use their time and to acknowledge the physical limits of their capacity.
From slots to capacity tokens: Once each team member has guessed their slots, the total capacity for the team is calculated and transformed into ‘capacity tokens‘. It’s important to establish a connection between individual slots and collective team tokens to emphasise that each individual contributes to the team, and that the team’s collective capacity is what matters.
Strategic allocation and WIP limits: During Kanban cadences, we collectively reason about how to assign these capacity tokens to the various workflows. Based on the capacity assigned to each flow, we then define their respective WIP limits. The goal is to balance the flows, preventing situations where some flows have too much capacity while others have too little. If we observe a flow underperforming while others excel, we can visually re-balance by shifting capacity. This shift intuitively signals the need to adjust WIP limits to “throttle” over-resourced flows and give space to those that need more capacity. It’s an empirical equilibrium where WIP limits not only stabilize the flow but also play a dual role in assigning capacity across parallel flows, thus making the entire system more stable and reliable.
The practice across the Kanban Maturity Model levels
I primarily introduce the Personal & Team Capacity Planning practice within STATIK (System Thinking Approach to Implementing Kanban) when analysing current capacity. Retrospectively, I have seen the practice evolve significantly across different maturity levels within an organisation, as defined by the Kanban Maturity Model (KMM).
At maturity level zero (ML0), where the organization is oblivious and individuals operate independently, this practice serves to help people understand their work. The goal is to encourage a shift from an individualistic approach to one where individuals begin to work as a team at ML1. To facilitate this transition, each team member identifies their personal ‘capacity tokens’ and how they assign them. This allows for a collective discussion among team members to redistribute these tokens, now considered the team’s overall capacity, onto a unified workflow.
Moving from ML1 to ML2, this practice shifts its focus to the customer. The team collectively decides how to allocate their tokens across activities and workflows to improve customer service. This is particularly important when dealing with different workflows that are difficult to unify, as these can cause problems and push people back towards managing systems individually or in silos. The objective at this stage is to manage systems in a unified way, which is vital for a team to progress from ML1 to ML2.
The same approach applies to the transition from ML2 to ML3, although different work teams may be involved. While not always necessary, rebalancing workloads within a team can still be beneficial. At ML3, the focus is on aligning workflows into an overall service system. This may entail reallocating resources by transferring tokens from one team’s workflow(s) to another’s, provided it contributes to the overall rebalancing of all flows.
Finally, once the system has reached ML3 and is balanced across the entire service, the focus shifts to managing demand variability and risk hedging to reach ML4. This involves the ability to add tokens, meaning capacity is reserved that doesn’t actually exist, but is brought in during peak periods. For example, during seasonal peaks (such as September and June for an HR department I am coaching), additional resources (e.g. part-time employees from other departments who are willing to work extra hours) are utilised as a ‘reserve team‘. These additional people correspond to the extra tokens made available when needed. This concept is integrated into, and expands upon, the practice of using classes of booking in a dynamic reservation system (MF 4.6) , enabling the reservation of capacity that is not yet available.
This creates a continuum of capacity management systems, from ML0 to ML4 and beyond.
Addressing complex realities: multiple workflows and legacy systems
The core premise of this approach is that teams typically work across multiple workflows. While it might be possible to manage a single team with different work item types within one flow in some situations, this is often not feasible. These flows can be intrinsically different, with unique steps and dynamics, or they may be tied to disparate legacy workflow systems. In such cases, it is common to resist the use of new Kanban boards because data is already held in existing systems. My strategy is to leverage these existing systems and transform them into a Kanban system, in line with the Kanban principle of ‘start with what you do now’.
The three steps to empowered teams
The method is highly empirical and pragmatic, designed to avoid time-consuming estimates or rigid scheduling.
Step one: look for weekly patterns. Rather than making forecasts, we analyse what has been done on average over the last few weeks or simply track activities for two to three weeks. This reveals how loads are typically distributed. Even in less mature organisations (ML0 to ML2), it is fascinating how sensible patterns appear, as if people instinctively create predictable routines to compensate for inconsistencies. This remains valuable even at higher maturity levels.
Step two: adjust the patterns to evolve the workflow. This instinctive tendency can be used to stabilise and evolve workflows. I have observed that allocating capacity tokens to workflows and ensuring the team understands their importance helps stabilise individual behaviour and consequently the system. Combining this with other Kanban practices, such as visualising work, collecting metrics and identifying improvements, enables teams to collectively adjust capacity patterns and improve workflows. Kanban cadences, such as the Team Kanban Meeting and the Service Delivery Review, provide a platform for discussing and sharing safe-to-fail experiments for adjusting capacity patterns. This leads to stabilised and optimised workflows over time.
The initial reaction to introducing this practice is often suspicion – a feeling that I want to ‘cage’ and control the team. However, over time, teams invariably discover that it’s the opposite: an autonomously managed method that fosters stability and predictability in their working system, irrespective of external pressures.
Greater stability and predictability mean that individuals and teams gain increasing control over the service levels they offer their customers. This isn’t about limitation; it’s about empowerment. It relieves external pressure and allows teams to truly master their own workflows. This counterintuitive concept truly clicks only when experienced, as it integrates seamlessly with the Kanban Method and its core principles.
Nel vasto panorama delle metodologie di gestione e trasformazione organizzativa, ho trovato nel metodo Kanban un approccio che rispecchia profondamente il modo di vedere e affrontare le sfide aziendali che seguo da sempre. Kanban non è infatti un insieme prescrittivo di regole da seguire, bensì una lente estremamente pragmatica, una leva potente per il successo delle organizzazioni.
Kanban funziona perché è reale
Ciò che mi ha subito attratto del metodo Kanban, sin dalla lettura nel 2010 del libro Kanban: Successful Evolutionary Change for Your Technology Business di David J. Anderson, che ha dato il via al movimento e poi alla Kanban University, è stata la sua natura intrinsecamente concreta e basata sul pragmatismo. Vi ho ritrovato una serie di spunti di buon senso e di soluzioni applicative pratiche che funzionano, molte delle quali avevo già avuto modo di sperimentare nel mio percorso professionale all’interno delle organizzazioni di servizi. Alcune le avevo imparate strada facendo, molte le avevo ricavate dai principi Lean – che sono poi la fonte di Kanban – e altre ancora le avevo scoperte in maniera sperimentale, perché è la realtà stessa che te le insegna. Questa capacità di attingere direttamente all’esperienza concreta, per me, è il vero punto di forza di Kanban.
Kanban è costituito da un insieme di strumenti molto concreti, che sono stati raccolti in un corpus organico, il Kanban Maturity Model (KMM), formalizzato a partire dalla prima edizione ufficiale pubblicata nel 2018. Questo mi permette di avere finalmente a disposizione una visione d’insieme e una prospettiva chiara su come applicare le oltre 150 pratiche che compongono il metodo Kanban, mettendole in sinergia. Nella mia attività di consulenza, il KMM mi dà una direzione e un insieme di strumenti per raggiungere l’obiettivo di costruire un metodo di lavoro su misura per l’azienda in cui opero.
La sua natura molto pragmatica, rende Kanban straordinariamente compatibile con tantissimi altri framework e metodologie che ho incontrato e applicato nel corso della mia vita professionale, come per esempio ITIL, PRINCE2, AgilePM, TOGAF e Scrum, solo per citarne alcuni.
Questi framework presentano le ‘best practice‘ in modo teorico, suggerendo un adattamento al contesto organizzativo, ma senza offrire indicazioni pratiche su come metterle realmente in atto. Possono rappresentare un valido punto di riferimento e contribuire a definire una direzione, ma le soluzioni concrete devono essere costruite su misura, in base alla specifica realtà di ciascuna organizzazione. Ecco perché, quando mi chiedono: “Applichiamo questo o quel metodo?“, la mia risposta è invariabilmente: “No, non applichiamo questo o quel metodo; applichiamo il vostro metodo, che costruiremo insieme“. Kanban mi ha dato un nome e una struttura riconoscibile per questo approccio.
I pilastri di Kanban: valori e gestione del flusso
Un altro aspetto fondamentale in cui mi sono pienamente ritrovato nel metodo Kanban è l’importanza data ai valori. Valori come la collaborazione, la leadership, la trasparenza e il rispetto sono elementi che ho sempre riconosciuto come essenziali per il buon funzionamento di un’organizzazione e per favorire un cambiamento efficace.
L’esperienza dimostra che, in un percorso di trasformazione organizzativa, oltre alla competenza tecnica e agli strumenti di gestione, ciò che fa davvero la differenza è la motivazione e il coinvolgimento delle persone — una questione di leadership e di attenzione al fattore umano. Il metodo Kanban sistematizza questi pilastri — il fattore umano e i valori, così come le pratiche e la struttura organizzativa — in un meccanismo di sviluppo evolutivo. Tale meccanismo, che include uno ‘stressor‘, un ‘meccanismo di riflessione‘ e un ‘atto di leadership‘, è la leva per il cambiamento evolutivo e per la trasformazione aziendale (Enterprise Transformation), oltre che per la gestione quotidiana (Enterprise Services Management). Il duplice obiettivo è, da un lato, efficientare ciò che già esiste e, dall’altro, favorire l’evoluzione organizzativa.
Un altro valore cruciale di Kanban è quello del Flow (Flusso). Creare le condizioni per un flusso di lavoro stabile è fondamentale perché porta a una situazione in cui il lavoro diventa prevedibile e di qualità. Questo si traduce in una riduzione dello stress e della pressione sui membri del team, e in una maggiore efficacia e credibilità per le organizzazioni. Imparare a identificare gli elementi che rendono affidabili la qualità e i tempi di risposta è il cuore del servizio al cliente e dell’affidabilità di un’organizzazione di servizi. In sintesi, è la capacità di gestire il rischio operativo.
Conclusione
In definitiva, Kanban non è semplicemente un metodo tra tanti, ma una lente attraverso cui leggere la realtà aziendale in modo pragmatico ed evolutivo. È un approccio che unisce valori e strumenti concreti per costruire, insieme all’organizzazione, un metodo su misura capace di adattarsi al contesto reale. Applicare il metodo Kanban significa scegliere di partire dalla realtà, dalle persone, dal buon senso e dalla volontà condivisa di evolvere. È questo che rende il cambiamento possibile — e duraturo.
Ho pubblicato originariamente questo articolo per il portale Kanban Help, al quale collaboro insieme al collega Luca Gambetti. Visita Kanban Help – www.kanban.help – per conoscere gli strumenti formativi e di coaching che ti possono aiutare a introdurre il metodo Kanban nella tua azienda.
Nel panorama economico odierno, caratterizzato da rapidi mutamenti tecnologici, economici e sociali, le organizzazioni di servizi si trovano spesso a navigare in acque turbolente. L’abilità di evolvere positivamente, mantenendo la stabilità e la pertinenza, è diventata un imperativo per la continuità operativa a lungo termine. Il metodo Kanban, supportato dal Kanban Maturity Model (KMM), offre ai dirigenti aziendali una guida pragmatica per affrontare queste sfide, fondando il proprio approccio su tre agende interconnesse: la sostenibilità, l’orientamento al servizio e l’adattabilità.
Comprendere il contesto turbolento
I periodi di equilibrio organizzativo possono essere interrotti da eventi drammatici che, pur potendo essere preceduti da turbolenze, sono seguiti da caos e ulteriore instabilità, fino al raggiungimento di una “nuova normalità”. Una situazione di tensione può esistere anche in periodi di apparente stabilità, dove problemi latenti (spesso manifestati come inerzia o insoddisfazione) possono portare a una crisi significativa, come durante la crisi finanziaria del 2008.
In questi contesti, la resistenza umana al cambiamento è un fattore critico. Come osservato da Peter Senge, “le persone non resistono al cambiamento, resistono all’essere cambiate”. I cambiamenti drastici e strutturali sul posto di lavoro (nuovi ruoli, riorganizzazioni) possano generare ansia, stress e paura, portando a una forte opposizione. Gli approcci tradizionali, spesso aggressivi e focalizzati su cambiamenti radicali, possono mettere le persone in una situazione di crisi psicologica, mettendo in seria difficoltà anche le organizzazioni.
Il metodo Kanban, al contrario, adotta un approccio al cambiamento evolutivo e incrementale, che evita di provocare una crisi nelle persone. Questo lo rende particolarmente adatto per guidare le organizzazioni attraverso la turbolenza, minimizzando gli effetti dannosi e il turnover del personale.
Le tre agende di Kanban: una bussola per la leadership
Le tre agende di Kanban forniscono una struttura integrata per la crescita e la resilienza aziendale:
L’agenda della sostenibilità: rivolta verso l’interno dell’organizzazione, questa agenda si concentra su tre obiettivi fondamentali, alleviare il sovraccarico di lavoro, migliorare la qualità dei risultati e sviluppare un autentico coinvolgimento professionale, sia nel contributo individuale che nella soddisfazione del cliente. Nei contesti meno strutturati, l’enfasi iniziale è posta sul sollievo dal sovraccarico per persone, team e flussi di lavoro, creando le condizioni per una maggiore qualità e prevedibilità del lavoro svolto. Il risultato è un ambiente professionale più sano, sostenibile e produttivo — condizione indispensabile per affrontare con efficacia le pressioni e le complessità esterne.
L’agenda dell’orientamento al servizio: rivolta verso l’esterno, questa agenda si concentra sulla prestazione del servizio e sulla soddisfazione del cliente, promuovendo la capacità di mantenere gli impegni, rispettare le scadenze con affidabilità e prendere decisioni gestionali basate sulla fiducia reciproca. Nel Kanban Maturity Model (KMM), il ruolo del cliente viene reso esplicito a partire dal livello 2, mentre il livello 3 rappresenta il punto in cui le aspettative del cliente sono soddisfatte in modo costante e sostenibile. Questa agenda orienta l’organizzazione verso il valore percepito dal cliente, stimolando un miglioramento della prevedibilità del servizio e della fiducia esterna — due elementi essenziali per competere efficacemente in contesti di mercato instabili e ad alta variabilità.
L’agenda dell’adattabilità: questa agenda ha uno sguardo orientato al futuro e si concentra sullo sviluppo della resilienza organizzativa e della competitività sostenibile. Lo fa attraverso la capacità di fare promesse credibili e mantenibili e di guidare consapevolmente la strategia e il posizionamento dell’impresa nel tempo. È l’agenda che abilita le organizzazioni a diventare anti-fragili: capaci non solo di resistere alle pressioni esterne, ma di evolversi e rafforzarsi proprio in risposta agli stress ambientali. Questa prospettiva si manifesta pienamente solo nei livelli più evoluti di strutturazione organizzativa, dove diventa possibile una reinvenzione profonda dell’identità e dello scopo aziendale.
Come le agende supportano i dirigenti nell’evoluzione
L’integrazione di queste tre agende, guidata dal KMM, offre ai dirigenti e ai decisori aziendali una strategia robusta per l’evoluzione organizzativa in contesti turbolenti:
Cambiamento evolutivo, non radicale: fin dalla sua origine, il metodo Kanban adotta un approccio incrementale e adattivo al miglioramento dell’agilità organizzativa, in netto contrasto con i cambiamenti drastici e imposti tipici di altre metodologie. Questa via evolutiva, più rispettosa delle dinamiche umane, evita traumi organizzativi e resistenze psicologiche, rendendo il cambiamento più sostenibile e più facile da radicare nel tempo. In particolare, nelle organizzazioni meno strutturate, un approccio graduale e contestuale aumenta significativamente le probabilità di successo, rispetto a trasformazioni radicali avviate attraverso grandi iniziative di transizione.
Prevenzione delle crisi: anziché aspettare una crisi conclamata per avviare il cambiamento, Kanban promuove un intervento proattivo durante i periodi di stabilità, quando i problemi latenti possono essere affrontati con maggiore lucidità. Le agende del metodo supportano l’emersione e la risoluzione di insoddisfazioni e ostacoli operativi — come il sovraccarico di lavoro o le inefficienze nel flusso — trasformando l’inerzia organizzativa in spinta al miglioramento.
Costruire resilienza e adattabilità: Il metodo Kanban, attraverso le sue agende, favorisce lo sviluppo di resilienza strategica, operativa e individuale. Questo percorso comprende transizioni culturali e organizzative fondamentali: dalla burocrazia alla dinamicità emergente, dalla formalizzazione alla personalizzazione, dall’efficienza all’affidabilità e dal profitto alla ricerca di significato. Il modello contribuisce a sviluppare una maggiore sensibilità al contesto esterno e una tolleranza costruttiva verso nuove idee — tratti distintivi delle organizzazioni davvero resilienti. Nei contesti più strutturati, il KMM abilita la capacità di mettere in discussione in modo critico il come, il cosa, il perché e il per chi si lavora, una competenza chiave per la reinvenzione continua e la sopravvivenza nel lungo termine.
Decisioni basate sui dati e sul feedback continuo: le agende incoraggiano un uso sistematico di metriche e cicli di feedback, attraverso le cosiddette ‘Cadenze Kanban’ — come il Kanban Meeting, il Service Delivery Review e l’Operations Review. Questi momenti strutturati abilitano un’auto-valutazione onesta e una comprensione quantitativa della performance, fornendo ai decisori le informazioni necessarie per prendere decisioni consapevoli e adattarsi con rapidità ai cambiamenti del contesto.
Promuovere la leadership a ogni livello: Kanban promuove la leadership diffusa, incoraggiando atti di leadership a tutti i livelli dell’organizzazione — dalla proattività individuale alla capacità di mobilitare e ispirare il gruppo. Questo approccio distribuisce responsabilità e potere decisionale, rendendo l’organizzazione più resiliente, adattabile e meno dipendente da singole figure carismatiche o ‘manager eroi’.
Cambiamento duraturo: Kanban è progettato per garantire che il cambiamento culturale e l’adozione di nuove pratiche si consolidino e perdurino nel tempo, anche in presenza di turnover del personale. Le agende, i valori espliciti e i criteri decisionali fungono da guida, supportando un’evoluzione profonda e sostenibile che si radica saldamente nella cultura organizzativa.
Conclusione
In conclusione, le tre agende di Kanban – sostenibilità, orientamento al servizio e adattabilità – non sono solo principi teorici, ma una guida pratica per i dirigenti che desiderano condurre le loro organizzazioni di servizi verso un’evoluzione positiva in un ambiente sempre più turbolento. Adottando questo approccio sistemico e allo stesso tempo umano al cambiamento, le organizzazioni possono non solo resistere agli shock, ma anche emergere più forti, più agili e con una maggiore probabilità di successo a lungo termine.
Ho pubblicato originariamente questo articolo per il portale Kanban Help, al quale collaboro insieme al collega Luca Gambetti. Visita Kanban Help – www.kanban.help – per conoscere gli strumenti formativi e di coaching che ti possono aiutare a introdurre il metodo Kanban nella tua azienda.