Il viaggio del Personal & Team Capacity Planning: dalle congetture ai flussi di lavoro stabili

Questo articolo è la traduzione in italiano di un articolo già precedentemente pubblicato in inglese su questo blog.
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Da oltre un decennio ho il privilegio di affiancare individui e team in numerose organizzazioni, aiutandoli con l’ausilio di una pratica che ho chiamato Personal Capacity Planning e, più recentemente, Personal & Team Capacity Planning. Si tratta di un metodo che, secondo la mia esperienza empirica, aumenta la produttività e offre un maggiore senso di controllo sul modo in cui i team gestiscono il proprio lavoro. Questo percorso, dalle sue origini alla sua applicazione odierna, si è profondamente intrecciato con i principi e le pratiche del metodo Kanban.

L’origine di un’idea: supportare l’implementazione di Lean

I miei primi passi in quello che sarebbe poi diventato il Personal & Team Capacity Planning risalgono al 2009-2010, quando applicavo Lean come Delivery Manager in un’azienda tecnologica. All’epoca non era una pratica formalizzata con un nome; ho semplicemente iniziato a fare pianificazione delle capacità personali su un foglio di carta. Era un approccio pragmatico ed empirico, inizialmente poco più che un esercizio per comprendere l’utilizzo del tempo personale e far sì che i miei team prendessero coscienza del fatto che le loro capacità personali erano limitate.

La mia comprensione di questo concetto si è approfondita notevolmente nel tempo e dopo aver iniziato a studiare Kanban e il Kanban Maturity Model (KMM). Ad un certo punto è diventato chiaro come questa riflessione personale sulla capacità potesse essere uno strumento utile per le organizzazioni. Ho riportato brevemente questa evoluzione iniziale nel mio primo articolo sull’argomento.

L’evoluzione con Kanban: definire i limiti al WIP

Man mano che la mia conoscenza di Kanban cresceva, cresceva anche la pratica. Si è evoluta in modo specifico per aiutare a definire i limiti al lavoro in corso (WIP). Questo è stato un passo fondamentale, riconoscendo che la necessità di limiti al WIP deriva direttamente dalla capacità produttiva limitata di un team, che a sua volta è vincolata dalla capacità limitata di ogni singolo membro. Il mio secondo articolo ha approfondito come il Personal Capacity Planning aiuti a definire questi limiti fondamentali.

Mi ha ispirato anche lo scambio di idee con Susanne Bartel di Flow Hamburg su questo argomento, così come una presentazione che ha tenuto all’Agile & Kanban Coaching Exchange. Questa presentazione mi ha fatto conoscere il Token System, un concetto che ora ho integrato pienamente nella mia pratica.

Il panorama attuale: token di capacità e bilanciamento dei flussi

Oggi ritengo che questa pratica sia fondamentale per supportare i team consolidati che lavorano su due o più flussi di lavoro. Una sfida comune per tali organizzazioni, in particolare quando iniziano a utilizzare Kanban, è l’allocazione delle risorse tra i vari flussi di lavoro.

L’implementazione di Kanban può essere sfidante per i team che lavorano su più flussi di lavoro, soprattutto se questi flussi differiscono in modo significativo o sono vincolati da sistemi legacy separati. Sebbene spesso vi sia il desiderio di integrare i flussi, ciò è raramente fattibile praticamente a causa delle diverse esigenze operative o degli strumenti incompatibili. I team fanno anche resistenza all’adozione di nuovi sistemi, come le Kanban board, percependoli come un ulteriore onere di gestione. Una strategia più pragmatica consiste nell’integrare i principi e le pratiche Kanban direttamente nell’infrastruttura di flusso di lavoro esistente, trasformando efficacemente i sistemi attuali in ambienti compatibili con Kanban senza la necessità di piattaforme completamente nuove.

Nel prossimo capitolo approfondirò queste idee, concentrandomi sull’applicazione pratica del metodo Kanban all’interno di organizzazioni che già gestiscono più flussi di lavoro. Descriverò come aiuto questi team ad allocare le risorse in modo più efficace. Il processo inizia con la mappatura di una “settimana tipica ipotetica”, prima a livello individuale, poi aggregata per team. Le fasce orarie vengono convertite in “token di capacità”, che vengono poi distribuiti tra i vari flussi di lavoro. Questo metodo aiuta a bilanciare i carichi di lavoro e a ottimizzare l’uso delle risorse. In definitiva, l’obiettivo è quello di stabilizzare il sistema complessivo applicando limiti al WIP dei singoli flussi e bilanciando la capacità tra di essi, garantendo una distribuzione del lavoro più efficiente e armoniosa.

L’implementazione pratica: il Personal & Team Capacity Planning all’opera

Ecco come funziona in pratica il Personal & Team Capacity Planning:

  • Immaginare la settimana: chiedo ai team di immaginare la loro settimana tipo teorica, proprio come descritto nei miei articoli precedenti. Ciò comporta che ogni membro annoti una stima della propria capacità settimanale, quasi come una previsione di programma suddivisa in slot orari. È fondamentale sottolineare che non si tratta di un programma, ma di uno strumento per riflettere su come utilizzano il proprio tempo e per riconoscere i limiti fisici della propria capacità.
  • Dagli slot ai token di capacità: una volta che ogni membro del team ha ipotizzato i propri slot, viene calcolata la capacità totale del team e trasformata in token di capacità. È importante stabilire una connessione tra gli slot individuali e i token collettivi del team per sottolineare che ogni individuo contribuisce al team e che ciò che conta è la capacità collettiva del team.
  • Allocazione strategica e limiti al WIP: durante le cadenze Kanban, riflettiamo collettivamente su come assegnare questi token di capacità ai vari flussi di lavoro. In base alla capacità assegnata a ciascun flusso, definiamo quindi i rispettivi limiti al WIP. L’obiettivo è quello di bilanciare i flussi, evitando situazioni in cui alcuni flussi hanno una capacità eccessiva mentre altri ne hanno troppo poca. Se osserviamo un flusso sottoperformante mentre altri eccellono, possiamo riequilibrare visivamente spostando la capacità. Questo spostamento segnala intuitivamente la necessità di adeguare i limiti al WIP per limitare i flussi con risorse in eccesso e dare spazio a quelli che necessitano di maggiore capacità. Si tratta di un equilibrio empirico in cui i limiti al WIP non solo stabilizzano il flusso, ma svolgono anche un duplice ruolo nell’assegnazione della capacità tra flussi paralleli, rendendo così l’intero sistema più stabile e affidabile.

La pratica attraverso i livelli del Kanban Maturity Model

Tipicamente introduco la pratica di Personal & Team Capacity Planning quando analizzo la capacità produttiva attuale all’interno di STATIK (System Thinking Approach to Implementing Kanban). Retrospettivamente, ho visto questa pratica evolversi in modo significativo attraverso diversi livelli di maturità all’interno di un’organizzazione, come definito dal Kanban Maturity Model (KMM).

A livello di maturità zero (ML0), quando l’organizzazione è assente e gli individui operano in modo indipendente, questa pratica serve ad aiutare le persone a comprendere il proprio lavoro. L’obiettivo è incoraggiare il passaggio da un approccio individualistico a uno in cui gli individui iniziano a lavorare in squadra a ML1. Per facilitare questa transizione, ogni membro del team identifica i propri token di capacità personali e il modo in cui li assegna. Ciò consente una discussione collettiva tra i membri del team per ridistribuire questi token, ora considerati come capacità complessiva del team, su un flusso di lavoro unificato.

Passando da ML1 a ML2, questa pratica sposta il proprio focus sul cliente. Il team decide collettivamente come allocare i propri token tra le attività e i flussi di lavoro per migliorare il servizio ai clienti. Ciò è particolarmente importante quando si ha a che fare con flussi di lavoro diversi difficili da unificare, poiché questi possono causare problemi e spingere le persone a tornare a gestire i sistemi individualmente o in silos. L’obiettivo in questa fase è gestire i sistemi in modo unificato, il che è fondamentale affinché un team possa passare da ML1 a ML2.

Lo stesso approccio si applica alla transizione da ML2 a ML3, anche se possono essere coinvolti team di lavoro diversi. Sebbene non sia sempre necessario, il riequilibrio dei carichi di lavoro all’interno di un team può comunque essere vantaggioso. A ML3, l’attenzione è rivolta all’allineamento dei flussi di lavoro in un sistema di servizi complessivo. Ciò può comportare la riallocazione delle risorse trasferendo i token dal flusso di lavoro di un team a quello di un altro, a condizione che ciò contribuisca al riequilibrio complessivo di tutti i flussi.

Infine, una volta che il sistema ha raggiunto ML3 ed è bilanciato su tutto il servizio, l’attenzione si sposta sulla gestione della variabilità della domanda e sulla copertura dei rischi per raggiungere ML4. Ciò comporta la possibilità di aggiungere token, ovvero di riservare una capacità che in realtà non esiste, ma che viene utilizzata nei periodi di picco. Ad esempio, durante i picchi stagionali (come settembre e giugno per un reparto risorse umane che sto seguendo), vengono utilizzate risorse aggiuntive (ad esempio, dipendenti part-time di altri reparti disposti a lavorare ore extra) come “team di riservisti”. Queste persone aggiuntive corrispondono ai token extra resi disponibili quando necessario. Questo concetto è integrato e ampliato nella pratica dell’utilizzo di classi di prenotazione in un sistema di prenotazione dinamico (MF 4.6), e consente la prenotazione di capacità non ancora disponibile.

Questo crea un continuum di sistemi di gestione della capacità, da ML0 a ML4 e oltre.

Affrontare realtà complesse: flussi di lavoro multipli e sistemi legacy

Il presupposto fondamentale di questo approccio è che i team lavorino tipicamente su più flussi di lavoro. Sebbene in alcune situazioni sia possibile gestire un singolo team con diversi tipi di attività all’interno di un unico flusso, spesso ciò non è fattibile. Questi flussi possono essere intrinsecamente diversi, con fasi e dinamiche uniche, oppure possono essere legati a sistemi di flusso di lavoro legacy disparati. In questi casi, è comune fare resistenza all’introduzione di nuove Kanban board perché i dati sono già presenti nei sistemi esistenti. La mia strategia consiste nello sfruttare questi sistemi esistenti e trasformarli in un sistema Kanban, in linea con il principio Kanban di “inizia con quello che fai oggi”.

I tre passi per ottenere un team maggiormente in controllo

Il metodo è fortemente empirico e pragmatico, pensato per evitare stime dispendiose in termini di tempo o pianificazioni rigide.

  1. Primo passo: cercare modelli settimanali. Anziché fare previsioni, analizziamo ciò che è stato fatto in media nelle ultime settimane o semplicemente monitoriamo le attività per due o tre settimane. Questo rivela come vengono distribuiti tipicamente i carichi di lavoro. Anche nelle organizzazioni meno mature (da ML0 a ML2), è affascinante vedere come emergano modelli sensati, come se le persone creassero istintivamente routine prevedibili per compensare le incongruenze. Questo rimane valido anche a livelli di maturità più avanzati.
  2. Secondo passo: adeguare i modelli per evolvere il flusso di lavoro. Questa tendenza istintiva può essere utilizzata per stabilizzare ed evolvere i flussi di lavoro. Ho osservato che assegnare token di capacità ai flussi di lavoro e assicurarsi che il team ne comprenda l’importanza contribuisce a stabilizzare il comportamento individuale e, di conseguenza, il sistema. Combinando questo approccio con altre pratiche Kanban, come la visualizzazione del lavoro, la raccolta di metriche e l’identificazione dei miglioramenti, i team sono in grado di adeguare collettivamente i modelli di capacità e migliorare i flussi di lavoro. Le cadenze Kanban, come il Team Kanban Meeting e la Service Delivery Review, forniscono un’occasione per discutere e condividere esperimenti sicuri per la regolazione dei modelli di capacità. Ciò porta a flussi di lavoro stabilizzati e ottimizzati nel tempo.
  3. Terzo passo: riservare la capacità come si ritiene opportuno. Questo processo di adeguamento e riequilibrio spesso comporta l’assegnazione di una capacità specifica. Quando ho implementato questo processo per la prima volta nel 2011 come Delivery Manager, il problema principale era la condivisione delle risorse tra i progetti e la manutenzione. Abbiamo creato degli slot di capacità per evitare conflitti e garantire che la capacità del progetto fosse realistica. Da allora, questo approccio è stato utile in vari scenari, dall’applicazione di Scrum con membri del team condivisi al bilanciamento dei carichi di lavoro per i team di supporto e sviluppo.

Il vero impatto: stabilità e padronanza di sé

La reazione iniziale all’introduzione di questa pratica è spesso il sospetto, la sensazione che io voglia “ingabbiare” e controllare il team. Tuttavia, con il passare del tempo, i team scoprono inevitabilmente che è esattamente il contrario: si tratta di un metodo gestito in modo autonomo che favorisce la stabilità e la prevedibilità nel loro sistema di lavoro, indipendentemente dalle pressioni esterne.

Una maggiore stabilità e prevedibilità consentono ai singoli individui e ai team di acquisire un controllo sempre maggiore sui livelli di servizio offerti ai propri clienti. Non si tratta di una limitazione, ma di un miglioramento del controllo. Allevia la pressione esterna e consente ai team di padroneggiare davvero i propri flussi di lavoro. Questo concetto controintuitivo trova la sua vera applicazione solo quando viene sperimentato, poiché si integra perfettamente con il metodo Kanban e i suoi principi fondamentali.

Fonti

  1. David J. Anderson, Kanban: Successful Evolutionary Change for Your Technology Business, Blue Hole Press, 2010
  2. David J. Anderson, Teodora Bozheva, Kanban Maturity Model: A Map to Organizational Agility, Resilience, and Reinvention – 2nd Edition, Kanban University Press, 2021
  3. Susanne Bartel, Managing Hybrid Projects with Kanban, canale YouTube dell’Agile & Kanban Coaching Exchange, 2024
  4. Marco Re, A Kanban-like system successfully implemented at Doxee in 2010-2012, portale Kanban+ della Kanban University, 2023
  5. Marco Re, Personal Capacity Planning: a practice that boosts Kanban teams productivity, pubblicato su questo blog, 2024
  6. Marco Re, An update on Personal Capacity Planning: a practice that boosts Kanban teams productivity, pubblicato su questo blog, 2024

The journey of Personal & Team Capacity Planning: from guesswork to stable workflows


For over a decade now, I’ve had the privilege of coaching individuals and teams in numerous organizations, guiding them through a practice I’ve come to call Personal Capacity Planning – and more recently Personal & Team Capacity Planning. It’s a method that in my empirical experience boosts productivity and brings an increased sense of control to how teams manage their work. This journey, from its beginnings to its application today, has become deeply intertwined with the principles and practices of the Kanban method.

The seed of an idea: supporting the implementation of Lean

My first steps into what would become Personal & Team Capacity Planning date back to 2009-2010, when I was applying Lean as a Delivery Manager at a technology company. Back then, it wasn’t a formalized practice with a name; I simply started doing personal capacity planning on a sheet of paper. It was a pragmatic, empirical approach, initially not much more than an exercise in understanding personal time usage and get my teams to become aware of the actual fact that their personal capacity was limited.

My understanding of this concept deepened significantly over time and after I began learning about Kanban and the Kanban Maturity Model (KMM). At some stage it became clear how this personal reflection on capacity could be a tool for organizations. I’ve briefly reported in my first article on the topic this initial evolution.

Evolving with Kanban: defining WIP limits

As my knowledge of Kanban grew, so did the practice. It evolved specifically to help define Work In Progress (WIP) limits. This was a crucial leap, recognizing that the need for WIP limits stems directly from the limited production capacity of a team, which in turn is constrained by the limited capacity of each individual member. My second article delved into how Personal Capacity Planning aids in defining these crucial limits.

I have also been inspired by the exchange of ideas with Susanne Bartel of Flow Hamburg on this topic, as well as by a presentation that she gave at the Agile & Kanban Coaching Exchange. This presentation made me aware of the capacity Token System, a concept that I have now fully integrated into my practice.

The current landscape: capacity tokens and flow balancing

Today, I find this practice instrumental in supporting established teams working across two or more workflows. A common challenge for such organisations, particularly when starting with Kanban, is allocating resources across their various workstreams.

Implementing Kanban can be challenging for teams working on multiple workflows, especially if these workflows differ significantly or are constrained by separate legacy systems. Although there is often a desire to integrate flows, this is rarely practical due to differing operational needs or incompatible tools. Teams may also resist adopting new systems, like Kanban boards, perceiving them as an added reporting burden. A more pragmatic strategy is to embed Kanban principles and practices directly into the existing workflow infrastructure, effectively transforming current systems into Kanban-compatible environments without the need for entirely new platforms.

In the next chapter, I will delve deeper into these ideas, focusing on the practical application of Kanban within organisations already managing multiple workflows. I’ll describe how I support these teams in allocating resources more effectively. The process begins by mapping out a ‘hypothetical typical week’—first at the individual level, then aggregated by team. Time slots are converted into ‘capacity tokens’, which are then distributed across the various workflows. This method helps balance workloads and optimise the use of resources. Ultimately, the aim is to stabilise the overall system by applying WIP limits to individual flows and managing capacity across them, ensuring a more efficient and harmonious distribution of work.

The practical implementation: Personal & Team Capacity Planning at work

This is how Personal & Team Capacity Planning works in practice:

  • Imagining the week: I ask teams to envision their typical theoretical week, much like the descriptions in my earlier articles. This involves each member jotting down a guess of their weekly capacity, almost like a schedule forecast divided into slots. Crucially, I always emphasize that it’s not a schedule, but a tool for reflection on how they use their time and to acknowledge the physical limits of their capacity.
  • From slots to capacity tokens: Once each team member has guessed their slots, the total capacity for the team is calculated and transformed into ‘capacity tokens‘. It’s important to establish a connection between individual slots and collective team tokens to emphasise that each individual contributes to the team, and that the team’s collective capacity is what matters.
  • Strategic allocation and WIP limits: During Kanban cadences, we collectively reason about how to assign these capacity tokens to the various workflows. Based on the capacity assigned to each flow, we then define their respective WIP limits. The goal is to balance the flows, preventing situations where some flows have too much capacity while others have too little. If we observe a flow underperforming while others excel, we can visually re-balance by shifting capacity. This shift intuitively signals the need to adjust WIP limits to “throttle” over-resourced flows and give space to those that need more capacity. It’s an empirical equilibrium where WIP limits not only stabilize the flow but also play a dual role in assigning capacity across parallel flows, thus making the entire system more stable and reliable.

The practice across the Kanban Maturity Model levels

I primarily introduce the Personal & Team Capacity Planning practice within STATIK (System Thinking Approach to Implementing Kanban) when analysing current capacity. Retrospectively, I have seen the practice evolve significantly across different maturity levels within an organisation, as defined by the Kanban Maturity Model (KMM).

At maturity level zero (ML0), where the organization is oblivious and individuals operate independently, this practice serves to help people understand their work. The goal is to encourage a shift from an individualistic approach to one where individuals begin to work as a team at ML1. To facilitate this transition, each team member identifies their personal ‘capacity tokens’ and how they assign them. This allows for a collective discussion among team members to redistribute these tokens, now considered the team’s overall capacity, onto a unified workflow.

Moving from ML1 to ML2, this practice shifts its focus to the customer. The team collectively decides how to allocate their tokens across activities and workflows to improve customer service. This is particularly important when dealing with different workflows that are difficult to unify, as these can cause problems and push people back towards managing systems individually or in silos. The objective at this stage is to manage systems in a unified way, which is vital for a team to progress from ML1 to ML2.

The same approach applies to the transition from ML2 to ML3, although different work teams may be involved. While not always necessary, rebalancing workloads within a team can still be beneficial. At ML3, the focus is on aligning workflows into an overall service system. This may entail reallocating resources by transferring tokens from one team’s workflow(s) to another’s, provided it contributes to the overall rebalancing of all flows.

Finally, once the system has reached ML3 and is balanced across the entire service, the focus shifts to managing demand variability and risk hedging to reach ML4. This involves the ability to add tokens, meaning capacity is reserved that doesn’t actually exist, but is brought in during peak periods. For example, during seasonal peaks (such as September and June for an HR department I am coaching), additional resources (e.g. part-time employees from other departments who are willing to work extra hours) are utilised as a ‘reserve team‘. These additional people correspond to the extra tokens made available when needed. This concept is integrated into, and expands upon, the practice of using classes of booking in a dynamic reservation system (MF 4.6) , enabling the reservation of capacity that is not yet available.

This creates a continuum of capacity management systems, from ML0 to ML4 and beyond.

Addressing complex realities: multiple workflows and legacy systems

The core premise of this approach is that teams typically work across multiple workflows. While it might be possible to manage a single team with different work item types within one flow in some situations, this is often not feasible. These flows can be intrinsically different, with unique steps and dynamics, or they may be tied to disparate legacy workflow systems. In such cases, it is common to resist the use of new Kanban boards because data is already held in existing systems. My strategy is to leverage these existing systems and transform them into a Kanban system, in line with the Kanban principle of ‘start with what you do now’.

The three steps to empowered teams

The method is highly empirical and pragmatic, designed to avoid time-consuming estimates or rigid scheduling.

  1. Step one: look for weekly patterns. Rather than making forecasts, we analyse what has been done on average over the last few weeks or simply track activities for two to three weeks. This reveals how loads are typically distributed. Even in less mature organisations (ML0 to ML2), it is fascinating how sensible patterns appear, as if people instinctively create predictable routines to compensate for inconsistencies. This remains valuable even at higher maturity levels.
  2. Step two: adjust the patterns to evolve the workflow. This instinctive tendency can be used to stabilise and evolve workflows. I have observed that allocating capacity tokens to workflows and ensuring the team understands their importance helps stabilise individual behaviour and consequently the system. Combining this with other Kanban practices, such as visualising work, collecting metrics and identifying improvements, enables teams to collectively adjust capacity patterns and improve workflows. Kanban cadences, such as the Team Kanban Meeting and the Service Delivery Review, provide a platform for discussing and sharing safe-to-fail experiments for adjusting capacity patterns. This leads to stabilised and optimised workflows over time.
  3. Step three: reserve capacity as you see fit. This adjustment and rebalancing process often involves allocating specific capacity. When I first implemented this process in 2011 as a Delivery Manager, the main issue was the sharing of resources between projects and maintenance. We created capacity slots to prevent conflicts and ensure that project capacity was realistic. Since then, this approach has helped in various scenarios, from applying Scrum with shared team members to balancing workloads for support and development teams.

The true impact: stability and self-mastery

The initial reaction to introducing this practice is often suspicion – a feeling that I want to ‘cage’ and control the team. However, over time, teams invariably discover that it’s the opposite: an autonomously managed method that fosters stability and predictability in their working system, irrespective of external pressures.

Greater stability and predictability mean that individuals and teams gain increasing control over the service levels they offer their customers. This isn’t about limitation; it’s about empowerment. It relieves external pressure and allows teams to truly master their own workflows. This counterintuitive concept truly clicks only when experienced, as it integrates seamlessly with the Kanban Method and its core principles.

Sources

  1. David J. Anderson, Kanban: Successful Evolutionary Change for Your Technology Business, Blue Hole Press, 2010
  2. David J. Anderson, Teodora Bozheva, Kanban Maturity Model: A Map to Organizational Agility, Resilience, and Reinvention – 2nd Edition, Kanban University Press, 2021
  3. Susanne Bartel, Managing Hybrid Projects with Kanban, YouTube Channel of Agile & Kanban Coaching Exchange, 2024
  4. Marco Re, A Kanban-like system successfully implemented at Doxee in 2010-2012, Kanban+ portal of Kanban University, 2023
  5. Marco Re, Personal Capacity Planning: a practice that boosts Kanban teams productivity, issued on this blog, 2024
  6. Marco Re, An update on Personal Capacity Planning: a practice that boosts Kanban teams productivity, issued on this blog, 2024