La delega e il cerchio della fiducia

Un tema su cui rifletto spesso mentre corro è quello spinoso della delega. E’ un tema che mi capita spesso di affrontare perché è alla base di una efficace gestione dei progetti. Cercando di analizzare quali sono gli ingredienti che consentono concretamente un processo di delega, l’elemento principale su cui concentrarsi è quello della fiducia: non c’è delega che tenga se non si crea un meccanismo che porti alla fiducia reciproca tra il delegante e il delegato. Abbastanza ovvio in teoria, molto meno in pratica. Soprattutto la fiducia che il delegato deve avere nei confronti di chi guida e delega è spesso offuscata da remore che finiscono per mandare in tilt il meccanismo. Questo particolare aspetto viene affrontato in modo abbastanza serio nella preparazione per la maratona, il podista non corre mai 42km in allenamento, deve fidarsi che l’allenatore gli faccia fare le cose giuste. E l’allenatore deve fidarsi che le cose giuste vengano fatte, ha comunque la responsabilità della salute del podista.

Il cerchio della fiduciaL’altro giorno ero di buon umore e al proposito mi sono tornati in mente una serie di episodi di una divertente commedia americana di qualche anno fa, “Ti presento i miei”. Nel film, un futuro suocero un po’ maniacale, brillantemente interpretato da Robert De Niro, testa le qualità del futuro genero, un goffissimo Ben Stiller,  per decidere se consentirgli o meno di sposare la figlia. Tutte le gag su cui si snoda la trama hanno come filo conduttore il ‘cerchio della fiducia‘ e tutti i test messi a punto dal perfido suocero hanno lo scopo di verificare se Greg, il futuro genero, sia all’altezza di assere ammesso nel ‘cerchio della fiducia’ del suocero. E’ interessante notare come la sfiducia di base del suocero, fondata sui suoi preconcetti, porti il povero Greg a fallire miserabilmente tutte le prove e ad essere messo alla porta dal suocero. Solo l’intervento finale della figlia, che fa capire al padre l’atteggiamento assurdo da lui tenuto, salva la situazione e porta il film verso l’immancabile happy ending. Perché ho fatto questo esempio? Perché anche un suocero deve attuare un processo di delega, deve affidare la propria figlia a qualcun altro, imparando a fidarsi del fatto che ne avrà sufficiente cura.

Il caso estremo e volutamente caricaturale del suocero di Greg, mi pare che centri il nocciolo del problema: un’attenta costruzione del cerchio della fiducia è essenziale. Il problema dei preconcetti e della poca abitudine e volontà nel realizzarlo è la base di quel meccanismo a cascata che porta all’atteggiamento sospettoso e dirigista che a sua volta annulla le possibilità di un efficace processo di delega. Quindi il problema non è nemmeno la mancanza di fiducia tout-court, ma è l’incapacità di saperla costruire. Ma perché non sappiamo costruire il cerchio della fiducia? In primis forse non sappiamo costruirlo perché non lo vogliamo, comunque costa fatica e richiede un investimento non banale di energie. Secondariamente c’è il fatto che spesso nessuno ci aiuta a capirne la necessità e ci insegna come farlo.

Possiamo trarre dalle discipline sportive qualche spunto su come costruire il cerchio della fiducia. Osservando con gli occhi dell’esperienza appare chiaro che l’allenatore e coach deve essere il primo attore del processo e deve conoscere l’arte di essere autorevole e ispirare fiducia. Senza di quello, vi fidereste mai dell’allenatore? Secondariamente deve sviluppare capacità di comunicazione ed empatia, in modo da entrare in sintonia con l’atleta e fargli capire i termini della delega, in modo da motivare l’atleta ad avere fiducia nell’allenatore e in se stesso e addestrarlo a gestire bene la delega. Gli strumenti di formazione e coaching consentono lo sviluppo di queste qualità, se applicati con costanza. E poi tanto allenamento, la delega si impara un po’ per volta e un po’ per volta si entra “in forma”.

Evidentemente ci deve essere di base un atteggiamento positivo da parte del delegato rispetto alla delega, ma la responsabilità primaria è comunque del delegante, è lui che deve pianificare il processo di delega, pensare a come metterlo in funzione, vigilare su di esso e fare in modo che funzioni.

Una buona strategia nel lungo periodo paga sempre

Lo spunto me lo ha dato qualche giorno fa una collega che era, per così dire, giù di corda per via di una … avete presente quelle giornate in cui sembra che nulla giri per il verso giusto, che il tanto lavoro fatto non sembra dare dei risultati, in cui ci si sente un po’ sopraffatti e in balia degli eventi, nei quali viene e da dire ‘ok, adesso la pianto qui e aspetto domani perché oggi non c’è nulla che vuol saperne di andare per il verso giusto’? Ecco, una di quelle giornate lì, saranno capitate anche a voi.

684737_sPensando a come risollevare il morale della collega mi sono venute in mente alcune giornate che mi hanno visto tornare a casa da un allenamento con le proverbiali ‘pive nel sacco’. E mi è venuto in mente quello che mi ha detto il mio allenatore una volta che sono andato in crisi dopo 30km e mi sembrava proprio che tutto il lavoro fatto fin lì fosse evaporato: la forma non si può perdere in una settimana.

Senza entrare nel merito, tutti i metodi di allenamento per le varie discipline sportive hanno in comune il fatto di cercare di instaurare un trend positivo, che pur con oscillazioni in alto e in basso, porti a un graduale incremento delle prestazioni fino a raggiungere un obiettivo di forma prefissato il giorno della gara. A ben pensarci, questa è una lezione di strategia che spesso trascuriamo nel lavoro e nella gestione dei progetti.

Ci facciamo prendere dal panico e tendiamo a ridurre tutto quello che è stato fatto (e che sarà da fare di lì in poi) all’esito di un singolo episodio, dimenticandoci che invece l’esito del lavoro svolto dipende da quanto saremo stati bravi a impostare bene il lavoro nel lungo periodo e a portarlo avanti giorno per giorno, con costanza e perseveranza. Nella mia esperienza è capitato varie volte che progetti impostati bene, finiti nel cassetto per le ragioni più svariate e dati per morti siano risorti all’improvviso, anche dopo diversi anni, dando dei frutti in cui nessuno ormai sperava più.

Il buon lavoro e una buona strategia alla lunga pagano sempre, anche se ci sono giorni di ‘blackout’ in cui tutto sembra non funzionare. Così infatti è stato anche per la mia collega, il suo progetto è andato bene.

Project Management e Facilitazione

facilitazioneUn’integrazione interessante alla metafora della maratona e a quelle sportive in generale è sicuramente l’utilizzo di altri strumenti di tipo esperienziale che permettano di sperimentare le interazioni di progetto a vari livelli sensoriali e ‘imparare facendo’ a individuare soluzioni per affrontare in modo efficace le tipiche situazioni operative che si possono incontrare durante lo svolgimento di progetti complessi.

L’integrazione con gli strumenti metaforici classici ed anche con alcuni strumenti innovativi, permette di costruire degli scenari di apprendimento più articolati, con alcuni vantaggi: posso essere sperimentati, sia in ambiente indoor che outdoor i rapporti interpersonali e di gruppo e si possono preparare i partecipanti al successivo coinvolgimento in attività e progetti più intensi e coinvolgenti a livello personale e di progetto. Possono quindi essere sperimentati in un tempo più breve e in uno spazio più circoscritto alcuni aspetti fondamentali di definizione strategica del progetto, lavoro in team, dinamiche di governo, progettazione e gestione di progetti complessi, che poi possono essere messi alla prova e vissuti su un orizzonte temporale più lungo mediante la metafora esperienziale della corsa, che assume quindi un significato più completo perché a quel punto si è in grado di capirne meglio il senso.

Per chi fosse interessato ad approfondire il tema, ne parlerò nel workshop che terrò a Milano  (zona Corso di Porta Romana) il giorno 22 aprile 2010 dalle 14.30 alle 16.30. Per la registrazione e le informazioni sulla location siete pregati di contattare la segreteria didattica al seguente indirizzo: segreteria.didattica@econsultant.it

Potete trovare informazioni sui tool Metalog, che saranno presentati e utilizzati nel corso del workshop, anche cliccando su questo link.

Project Management e cambiamento in azienda

Un aspetto su cui di recente rifletto durante le mie corse è come un buon approccio ai progetti possa essere determinante per la gestione del cambiamento in azienda.

Le riflessioni muovono dalla ricerca di soluzioni operative per  un progetto di riorganizzazione che mi vede coinvolto in prima persona in un’azienda in forte crescita e cambiamento e mi spingono a chiedermi quali possano essere le virtù migliori per i project manager di quella stessa azienda. Noto come i ritmi sostenuti dalle persone con cui ho a che fare sono molto elevati, è gente che sta “correndo” una competizione importante, il ritmo delle corsa è elevato e sono sotto pressione. Certe volte queste persone mi ricordano un motore che funziona a pieni giri con inserita la marcia più alta. Stanno andando veramente forte, ma fino a quando?

Questo caso è emblematico della situazione che si vive in tante aziende che mi capita di incontrare in questi tempi di cambiamento; la situazione è tale da creare pressione continua e richiedere lo sviluppo di maggiori virtù di resistenza alla fatica psicofisica, ma quali appunto?

Prendendo spunto dalla corsa lunga di resistenza, sicuramente la prima che viene in mente è la pazienza: non si può pensare di ottenere tutto subito, o procedere a strappi, occorre saper gestire lo sforzo, predisporre una tabella di marcia realisticamente sostenibile e cercare di mantenerla, nonostante si sia circondati di sollecitazioni ad accelerare. Si comincia con il poco, le piccole cose, sforzandosi di programmarle adeguatamente. Poi con un esercizio quotidiano e costante si impara a tenere il passo giusto, a dire di no, a non essere trascinati e ‘schiacciati’ dai progetti.

Un’altra virtù è certamente  la tenacia: è un po’ il duale della virtù precedente, nel senso che quando la fatica assale e si è tentati di lasciare andare il progetto alla deriva, si devono invece raccogliere le forze, cercare di recuperare lucidità e fare lo sforzo di mantenere il ritmo e il programma prefissato, nonostante tutto. Piuttosto, se si era sbagliato il programma e si erano sopravvalutate le proprie forze, occorre ripianificare in maniera attenta, ragionando accuratamente su come fare fronte ai vincoli di progetto durante tutto l’orizzonte temporale rimanente e non limitandosi semplicemente a procrastinare le attività.

Questo aspetto introduce alla terza virtù che mi pare essenziale, ovvero la capacità di programmare guardando oltre l’orizzonte temporale noto: i progetti complessi hanno orizzonti temporali lunghi e molto spesso si tende a trascurare gli impatti nel lungo periodo e a stimarli in maniera molto approssimativa. questo è un errore che alla distanza si paga, esattamente come una errata valutazione della propria resistenza fisica, porta a non concludere uno sforzo fisico prolungato.

Le virtù elencate possono sembrare delle ovvietà agli occhi di chi si occupa di progetti, anche se a mio avviso meritano una sottolineatura importante, perché se è vero che in linea di principio siamo tutti d’accordo, è sulla concreta attuazione alla quotidianità che dette virtù vengono troppo spesso dimenticate. Richiedono esercizio e pratica, ma come esercitarsi? E qui lo sport di resistenza può passare da spunto di riflessione a palestra per l’esercizio delle summenzionate virtù, provare per credere.

Per chi fosse interessato, anche di questo tema tratterò nel mio webinar su Project Management e cambiamento in azienda del 31 marzo (live alle ore 16.00 ) sul portale di Microsoft Aula PMI, che potete raggiungere cliccando su questo link.

La maratona è un arte che sfida il fallimento

L’idea mi è venuta leggendo un articolo con lo stesso titolo. Era da circa un anno che avevo rispolverato il mio vecchio sogno di gioventù di riuscire a correre la maratona di New York. Ed era da  un po’ di mesi che mi ero messo ad allenarmi seriamente, ormai avevo macinato quasi mille chilometri, cominciavo ad essere in forma, il peggio della rimozione della ruggine fisica era alle spalle, ma il traguardo era ancora molto lontano.

Non so come sono capitato a leggere quell’articolo di Mauro Covacich sul Corriere della Sera, ma è stata un’illuminazione perché mi sono reso conto all’improvviso e per la prima volta che quell’attività sportiva, iniziata per una sfida con me stesso, era in realtà un’arte marziale che mi stava cambiando la vita e anche il modo di affrontare l’attività professionale di project manager.

Mi sono sentito ‘nudo’ davanti a quell’articolo e mi sono messo a riflettere sulle analogie tra la buona gestione dei progetti e la preparazione per correre una maratona. Ho scoperto che quello che in principio mi sembrava solo uno sfizio sportivo poteva diventare il banco per mettere alla prova e sperimentare concretamente i metodi di project management e anche una potente metafora per farli comprendere agli altri nella mia attività di formatore e consulente.

Il successo nei progetti, come nella maratona, ha radici lontane dal traguardo, se sbagli a impostare la strategia non hai scampo; la conduzione dei progetti, come la preparazione della maratona, è sempre una storia di sfida continua al fallimento, di correzioni, di faticoso superamento delle difficoltà quando la sconfitta sembra ineluttabile, di ricerca continua di lucidità nella lettura delle varie circostanze, per non farsi offuscare la mente e l’anima dalla fatica e non scivolare oltre la sottile linea rossa della resa alle avversità.

Ho quindi deciso di tradurre questi concetti in un corso di formazione e di creare questo blog per condividere le mie riflessioni con amici e colleghi (correndo per diverse ore, ho molto tempo per riflettere!). Buona lettura.

Leggi l’articolo del Corriere