Il mio 2015 podistico è stato un anno complesso. Il termine che ho utilizzato non è casuale e fa riferimento a uno dei cinque domini del modello Cynefin [termine in gaelico gallese, pronuncia: /ˈkʌnɨvɪn/], un modello di interpretazione che aiuta i manager a determinare, in funzione del livello di complessità, il contesto operativo prevalente, consentendo scelte e decisioni appropriate. Cynefin definisce una serie di domini di relazione causa/effetto in funzione dei quali suggerisce al manager il tipo di spiegazioni o soluzioni che potrebbero essere applicate.
Secondo l’autore, Dave Snowden, il dominio Complesso (Complex domain) è quello in cui il rapporto tra causa ed effetto degli eventi può essere percepito solo a posteriori, ma non in anticipo, per cui le soluzioni operative vanno ricercate secondo uno schema che prevede di Esplorare – Percepire – Rispondere (Probe – Sense – Respond) da preferire, nel mio caso podistico, allo schema per il dominio Ovvio (Obvious domain, in origine denominato Simple domain), che prevede di Percepire – Categorizzare – Rispondere (Sense – Categorise – Respond), ma anche a quello del dominio Complicato (Complicated domain), che prevede di Percepire – Analizzare – Rispondere (Sense – Analyse – Respond).
Podisticamente parlando, una serie di situazioni impreviste mi hanno fatto scivolare da un dominio Ovvio, nel quale riuscivo ad allenarmi regolarmente seguendo un modello noto e ricorrente in funzione delle condizioni fisiche percepite (che Cynefin chiama “best practice“), verso un dominio dapprima Complicato, nel quale mi occorreva un’analisi delle condizioni fisiche percepite prima di poter rispondere con una opportuna modalità di allenamento (che Cynefin chiama “good practice“), e infine verso un dominio Complesso, nel quale devo cercare e trovare soluzioni di allenamento sperimentali (che Cynefin chiama “emergent practice“), per tentativi ed errori secondo una modalità per cui prima esploro una soluzione, poi percepisco il mio stato fisico e quindi rispondo con la soluzione di allenamento che vedo funzionare tra quelle esplorate. La sfida è quella di riportarmi progressivamente verso un dominio Ovvio, evitando al tempo stesso di scivolare nel dominio Caotico (Chaotic domain), nel quale diventa impossibile individuare la relazione causa/effetto e si è costretti ad Agire – Percepire – Rispondere (Act – Sense – Respond) o peggio nel dominio del Disordine (Disorder domain) nel quale non si comprende più nemmeno quale sia lo schema da applicare e si tende a rifugiarsi nella propria zona di comfort, effettivamente perdendo il controllo della situazione.
Tale modello, per quanto teorico e di pura interpretazione, sottopone a una certa disciplina mentale nel riconoscere correttamente le situazioni di progetto e a operare di conseguenza. La metafora sportiva mi riporta alle situazioni operative in progetti aziendali di cui mi occupo, per le quali ho potuto verificare che quello che spesso manca non è tanto uno schema di gestione, quanto lo schema di gestione appropriato rispetto ai meccanismi di causa/effetto del contesto aziendale e del mercato di riferimento.

La scarsità di risorse mi ha imposto un “costo” fisso in termini di tempo-corsa erogabile, i tempi sono rimasti quelli prefissati fino al prossimo appuntamento podistico in primavera, in sostanza ho quindi dovuto lavorare sull’ambito ovvero sul risultato atteso e modulare, in funzione di quello che riuscivo a fare, il tipo di obiettivo da ottenere: potrebbe essere una 10km, una mezza maratona (21km) o una maratona intera (42km), la cosa importante è quella di rimanere focalizzato su un obiettivo che sia consistente e produca una valore effettivo (ovvero la forma necessaria per correre bene la corsa), poi l’entità del valore prodotto (la corsa da 10-21-42 km) dipenderà da quanto riuscirò a cambiare la scala del progetto e aumentare l’erogabile in termini di costo.
Un amico podista che mi è venuto a trovare nei giorni scorsi mi ha dato questo spunto interessante. C’è una verità in questa affermazione che si applica non solo a tutta la vita nel suo complesso ma anche a tutte le situazioni particolari della vita, ai nostri progetti.
Lo scorso fine settimana è stato, podisticamente parlando, il più deludente della mia piccola carriera. Avrei dovuto (e voluto) correre la maratona di Berlino, poi ai primi di settembre a causa di un impegno non rimandabile per sabato 24 ho dovuto rinunciarci e ripiegare sulla sicuramente meno motivante maratona di Bergamo e infine mi sono preso l’influenza per cui sono rimasto impotente a guardare pure quest’ultima.
E così domenica mattina mi sono avviato verso la partenza cercando di capire quale potesse essere una strategia sensata per mettere in pratica tutte le raccomandazioni di prudenza del mio allenatore. Avendo come sempre suddiviso la prova in fasi (due fasi iniziali di 10 km ciascuna, seguite da 4 fasi di 5 km ciascuna e un ultima fase di 2.195 km) ho pensato che nella prima delle fasi avrei tenuto più o meno il ritmo previsto, cercando di approfittare del clima relativamente più fresco e ventilato. Così ho fatto anche se al decimo chilometro, mentre facevo il mio primo consuntivo e valutavo i margini di tolleranza sul ritmo tenuto e il budget di rischio ancora a disposizione, mi sono reso conto che stavo consumando più effort del previsto e per le fasi successive ho deciso di abbassare il ritmo di 5 secondi al chilometro. Mi sembrava una buona stima per una buona valutazione del rischio e invece il calcolo era di nuovo errato: al km 29, sotto il sole a picco, è sopraggiunta inesorabile la issue di progetto, sono andato in crisi e mi sono ritrovato in eccezione con tutti i piani saltati..jpg)

La memoria è andata allora a quel momento della mia vita in cui mi sono chiesto se fosse giusto lavorare fino a tardi alla sera, come allora facevo sistematicamente. Me lo sono chiesto sia perché il fare tardi al lavoro aveva ripercussioni sulla mia vita personale, sia perché mi chiedevo da un punto di vista metodologico se fosse corretto fare sistematicamente affidamento sull’orario extra per risolvere le situazioni di lavoro.